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venerdì 6 gennaio 2023

Sant'Abo di Tiflis

Il racconto vero e proprio della “passio” è preceduto da due lettere scambiate tra Samiele, katholicòs di Mtzkhétha, e il prete Giovanni Sabanidze circa la necessità di porre per iscritto gli avvenimenti di cui questi sarebbe stato testimone. La relazione comincia con un prologo parenetico in cui s. Abo non viene nominato. Seguono due parti distinte da due sottotitoli che raccontano l’arrivo del santo in Kharthli e il martirio. Un lungo elogio sugella il racconto. Secondo i compilatori della “passio” Abo nacque a Bagdad dall’arabo ismaelita Abramo e fu educato nella religione musulmana. All’età di 17 o 18 anni entrò come esperto di profumeria e di lettere arabe al seguito di Nerses figlio del curopalata Ardanases, etnarca di Kharthli, che caduto in disgrazia del califfo abbasside Abd-Allah al Mansur, (754-775), era stato rinchiuso nelle carceri di Bagdad. Quando Nerses, liberato dal successore di al-Mansur, Mohammad al-Mahdi (775-785), con l’amnistia del 776, lasciò Bagdad, Abo lo seguì in patria dove arricchì la sua eterogenea cultura con lo studio dell’iberico, della Bibbia e dei primi rudimenti della religione cristiana che, introdotta in Georgia sotto Costantino, era, ormai dai tempi di Giustiniano, religione di stato. Nonostante la rapida adesione alla verità di fede, tratteneva Abo dal battesimo il timore dei musulmani padroni della Georgia fin dal 650 e nemici del cristianesimo tradizionale, baluardo filo-bizantino del nazionalismo georgiano. Però Nerses non tardò a perdere il favore del nuovo califfo: lasciò il suo paese per l’Osseth insieme a trecento profughi e ad Abo, che da questo momento lo avrebbe seguito in ogni peregrinazione. Nerses guidò il drappello nelle terre settentrionali dove erano le sedi dei figli di Magog, i Khazari, uomini agresti di aspetto terribile e di spietati costumi, bevitori di sangue e disobbedienti di qualunque legge “tranne quella di un Dio creatore”. I Khazari lo accolsero come nemico dei loro nemici offrendogli vitto e alloggio. Abo confortato dall’umanime consenso trovò finalmente il coraggio di professarsi cristiano, di dedicarsi alle orazioni e ai digiuni, di ricevere il battesimo. Nerses chiese al re dei Khazari di poter proseguire attraverso la sua terra fino a quella degli Abasgi, dove aveva inviato i suoi familiari e i suoi averi fin dal tempo in cui la burocrazia araba incominciava a mostrarglisi ostile.

Intanto Stefano, nipote di Nerses, aveva ottenuto dal califfo Al Mahdi l’etnarcato di Tiflis e, giudicando ormai impossibile il ritorno, Abo decise di rientrare in patria. Invano tutti dissuasero Abo dal gettarsi in mano ai suoi antichi correligionari, che, impossessatisi del potere, avevano imposto la religione musulmana. Abo, divenuto ormai per gli arabi un infedele, seguì Nerses a Tiflis, dove rimase tre anni vivendo della carità e acquistandosi fama di perfetto cristiano. Verso la fine del 785 il governo arabo fece arrestare Abo, ma l’etnarca Stefano riuscì a farlo rilasciare. Gli arabi si vendicarono rimuovendo dalle sue funzioni il giudice che si era fatto intimorire dai georgiani. Ormai la coraggiosa schiettezza con cui professava la nuova la nuova religione consegnò Abo ai musulmani che gli imposero l’abiura. Il rifiuto provocò la sua condanna a morte, e lo strazio della salma, che fu parte arsa, parte dispersa nelle acque del fiume Mtcwar. Abo fu martirizzato, sotto il califfo Musa al-Hadi (785-786), il 6 gennaio del 786; la festa fu spostata, perchè non coincidesse con l’Epifania. Secondo la tradizione, una colonna di fuoco indicò ai cristiani il luogo in cui si trovavano, casualmente raccolti nella melma del fondo, i resti del santo. Le reliquie furono recuperate e traslate in Tiflis nella cappella eretta sul luogo del martirio. Abo venne canonizzato dopo la morte del katholicòs Samuele III (789-794), il quale aveva dato ordine a Giovanni Sabanidze, testimone del martirio, di lasciarne memoria scritta.

Una leggendario su pergamena, letto da Brosset in Tiflis nel 1847, rivelò il racconto della “passio”, che, pubblicato in numerose opere, non fu, però, oggetto di uno studio critico prima del 1934. Lo studio, condotto da P. Peeters, chiarì fino a qual punto le convenisse il titolo di documento storico. La “passio”, redatta nell’VIII secolo, localizza gli avvenimenti nel tempo e nello spazio in modo piuttosto vago, per la mancanza di un sistema cronologico e le numerose reticenze ispirate da trasparenti motivi politici; però la sequenza dei fatti è oltremodo chiara e permette di determinare precisamente il nome e il ruolo delle popolazioni e delle persone che vi sono citate. La “passio” fu dunque una prudente relazione, redatta in un’epoca molto vicina agli avvenimenti, nei primi anni del califfato di Harun ar-Rasid (786-809) e si svolge in quel periodo della dominazione araba in Georgia caratterizzato dal malcontento dei principi indigeni legati all’impero bizantino da antichi vincoli di fedeltà e sottomessi dai primi califfi abbassidi.


Autore:
Maria Vittoria Brandi

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