Se non ci fosse stato il lungo colloquio del Papa con la Civiltà Cattolica, l’intervista al cardinale Raymond Leo Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura apostolica, sarebbe rimasta nascosta tra le pagine del mensile Catholic Servant, stampato a Minneapolis, e facilmente dimenticata. Ma poi Francesco ha parlato, ha detto che certe questioni, i cosiddetti princìpi non negoziabili, non devono diventare la priorità nell’agenda pastorale, che se ne deve parlare solo dentro a contesti determinati e che comunque su quei temi la posizione della chiesa è nota. Non serve ripeterle ogni giorno, insomma. Parole che in America, dove su quei princìpi si è imbastita la battaglia anche politica dell’ala conservatrice dell’episcopato oggi guidato da Timothy Dolan, hanno spiazzato. Ecco perché quell’intervista viene ripresa oggi, e viene dato ampio risalto a quanto diceva il cardinale Burke mentre a migliaia di chilometri di distanza, nella suite papale a Santa Marta, Bergoglio ricordava che “una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”. Oltre a parlare del Summorum Pontificum e della partecipazione dei cattolici alla messa, il cardinale Burke dedica ampio spazio proprio alla triade aborto-nozze omosessuali-contraccezione. Non teme di parlare di “allarmante rapidità in cui si sta realizzando l’agenda omosessuale”, fatto che “dovrebbe risvegliare tutti noi e spaventarci per quanto riguarda il futuro della nostra nazione”. Questo, aggiunge il porporato, “è un inganno, una menzogna circa l’aspetto più fondamentale della nostra natura umana, la nostra sessualità umana, che ci definisce”.
giovedì 30 settembre 2021
mercoledì 22 settembre 2021
San Giovanni Crisostomo - Ho Combattuto la Buona Battaglia
Dalle «Omelie» di San Giovanni Crisostomo, Vescovo
(Om.
2, Panegirico di san Paolo; PG 50,480-484)
Paolo se ne stava nel carcere come se stesse in cielo e riceveva
percosse e ferite più volentieri di coloro che ricevono il palio nelle
gare: amava i dolori non meno dei premi, perché stimava gli stessi
dolori come fossero ricompense; perciò li chiamava anche una grazia
divina. Ma sta’ bene attento in qual senso lo diceva. Certo era un
premio essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo (cfr. Fil 1,23),
mentre restare nel corpo era una lotta continua; tuttavia per amore di
Cristo rimandava il premio per poter combattere: cosa che giudicava
ancora più necessaria.
L’essere separato da Cristo costituiva per lui lotta e dolore, anzi
assai più che lotta e dolore. Essere con Cristo era l’unico premio al di
sopra di ogni cosa. Paolo per amore di Cristo preferì la prima cosa
alla seconda.
Certamente qui qualcuno potrebbe obiettare che Paolo riteneva tutte
queste realtà soavi per amore di Cristo. Certo, anch’io ammetto questo,
perché quelle cose che per noi sono fonti di tristezza, per lui erano
invece fonte di grandissimo piacere. Ma perché io ricordo i pericoli ed i
travagli? Poiché egli si trovava in grandissima afflizione e per questo
diceva: «Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo che
io non ne frema?» (2 Cor 11,29).
Ora, vi prego, non ammiriamo soltanto, ma anche imitiamo questo esempio
così magnifico di virtù. Solo così infatti potremo essere partecipi dei
suoi trionfi.
Se qualcuno si meraviglia perché abbiamo parlato così, cioè che chiunque
avrà i meriti di Paolo avrà anche i medesimi premi, può ascoltare lo
stesso Apostolo che dice: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la
mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di
giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno, e
non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua
manifestazione» (2 Tm 4,7-8). Puoi vedere chiaramente come chiama tutti
alla partecipazione della medesima gloria.