Per celebrare la ricorrenza del Beato Rolando Rivi propongo un articolo che tempi.it realizzò nel settembre 2012. Si tratta di
un’intervista a Emilio Bonicelli, autore di un bel libro sulla storia di
Rivi.
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Il 13 aprile 1945, in un bosco dell’Emilia, fu
trovato il corpo freddo e tumefatto di Rolando Rivi, giovane seminarista
freddato da mano partigiana per odio alla fede. E mentre si discute
sulla sua beatificazione, a breve, in libreria, sarà ripubblicato Il
sangue e l’amore (Jaca Book), un romanzo di Emilio Bonicelli,
giornalista e scrittore, che ha ricercato documenti storici per risalire
ai particolari della tragica morte di Rolando. Tempi.it ne discute
proprio con l’autore.
Perché una riedizione de Il sangue e l’amore?
L’edizione
precedente era completamente esaurita – e la cosa non può che farmi
piacere –. Continua a esserci una richiesta crescente di conoscere
questo seminarista martire, ucciso a soli 14 anni. Avevo scritto di
Rolando non appena conosciuta la sua figura, in circostanze
apparentemente casuali. Sono rimasto folgorato dalla storia di questo
piccolo ragazzo, profondamente innamorato di Gesù e trasformato da
questo amore, su cui aveva progettato la sua intera esistenza. E per
tale amore è stato sequestrato, torturato e ucciso da uomini accecati
dall’ideologia. Quando ho “incontrato” Rolando vivevo una vicenda
personale molto difficile. Ero da poco tornato al lavoro dopo una lunga
convalescenza seguita a un trapianto di midollo osseo per curare una
leucemia. Allo stesso modo, un bambino inglese era guarito dal questo
cancro ma attraverso una Grazia. Sotto il suo cuscino, un amico aveva
posto una ciocca di capelli di Rolando, intriso del sangue del martirio.
Come ha fatto una ciocca di capelli di Rolando Rivi a finire in Inghilterra?
Un
giovane di origine indiana, che aveva studiato a Roma e completato i
suoi studi in Inghilterra, dove guidava un gruppo di preghiera, era
stato accolto da una famiglia di amici protestanti. Rimase colpito da un
articolo dell’Osservatore romano, che parlava proprio di Rolando. Il
giovane si mise in contatto con padre Colusso, parroco di San Valentino
dove Rolando è sepolto e venerato. Il figlio più piccolo di quegli amici
protestanti si era ammalato di leucemia e il giovane chiese al prete
una reliquia per poter chiedere l’intercessione di Rolando. Padre
Colusso gli spedì la ciocca di capelli. Al termine di una novena di
preghiera, il bambino stava bene.
Come ha conosciuta questa vicenda?
Ho
letto casualmente un lancio di agenzia che, per la vicenda che avevo
vissuto, non poteva non colpirmi. Ma le notizie su Rolando erano scarne
perché attorno alla sua figura vigeva un sorta di tabù da quasi
sessant’anni.
Quale tabù?
Il
nostro piccolo martire è un grandissimo tesoro della fede, ma era
scomodo parlare di lui. In una realtà come la nostra, il potere
costituito è stato in gran parte legato al partito comunista e a una
certa lettura a senso unico dei fatti storici. Oggi molte cose sono
cambiate, ma fino a poco tempo fa era quasi impossibile citare certi
eventi che scardinavano una lettura “politicamente corretta” della
Resistenza.
Ma lei voleva farlo conoscere…
Già.
Sono partito dai pochi elementi reali conosciuti allora, e da lì ho
raccontato due storie. Quella di Rolando, a mo’ di romanzo storico, e
una storia, quella di Marta, ispirata alla Grazia prima descrittala.
Sono storie parallele a capitoli alterni, apparentemente lontane tra
loro, ma che si intrecciano alla fine, svelando la contemporaneità di
Cristo nei testimoni della fede.
E il risultato?
Quando
presentammo la prima edizione del libro la sala degli specchi del
teatro della mia città, Reggio Emilia, si riempì di popolo. Capimmo che
nel cuore della gente era rimasto il ricordo di Rolando, la fama della
sua santità, anche se ancora non si poteva proclamare sulle piazze. Era
un segno. Con gli amici che avevano organizzato quel convegno decidemmo
di andare avanti. Così ha avuto inizio il cammino della causa di
beatificazione, che è iniziata nel 2006. La fase diocesana si è chiusa
nello stesso anno e ora siamo in attesa del giudizio ultimo e definitivo
che dovrà essere espresso dalla Congregazione per le cause dei Santi di
Roma. Prego e spero che presto Rolando possa salire all’onore degli
altari per la straordinaria bellezza della sua testimonianza di fede e
di amore a Gesù, sino al dono della vita.
Il libro, quindi, è a tutti gli effetti un romanzo storico, non di invenzione?
La
nuova edizione del libro è stata in gran parte riscritta per essere
sempre più aderente ai fatti accaduti, così come ho potuto ricostruirli
in questi anni grazie a un lavoro di ricerca storica e al dialogo con i
protagonisti dell’epoca. Anche la copertina è cambiata. Ora c’è il volto
di Rolando, dolcissimo e forte, perché abbiamo ritrovato l’originale
della foto che gli era stata scattata poche settimane prima del
martirio. Il racconto, poi, ricostruisce con più aderenza il clima della
guerra partigiana nella nostra terra emiliana, nel triangolo della
morte. Non c’è stata alcuna volontà di revisionismo ma solo il desiderio
di illuminare la verità dei fatti.
E cosa ha scoperto?
Spesso,
ancora oggi, si sente dire che la resistenza partigiana aveva un solo
colore politico e un’unica voce. Non è così. La resistenza ha avuto più
volti nel nostro paese, e nella sua grandezza ha vissuto tutti i
problemi legati all’irrompere, al suo interno, dell’ideologia comunista.
Il movimento di resistenza a Reggio Emilia, ad esempio, nacque dentro
una parrocchia, il primo comandante era un sacerdote: don Domenico
Orlandini e il movimento aveva un carattere unitario, pur nelle diverse
identità. In molte formazioni, però, a un certo punto, iniziò un’opera
di indottrinamento politico per mano del Partito Comunista, che cercava
l’egemonia e organizzava nelle formazioni vere cellule di partito.
Questo fatto portò a una inevitabile divisione: le brigate garibaldine,
comuniste, da una parte, e le fiamme verdi, cattoliche, dall’altra, e
ben diverso era il modo con cui le une e le altre concepivano e vivevano
la guerra di liberazione. Chi sparò a Rolando fu il commissario
politico di una formazione garibaldina. Il commissario politico, cioè la
persona incaricata di indottrinare gli altri all’ideologia comunista.
La motivazione data fu “domani un prete di meno”. La lotta partigiana, per alcuni, era diventata cioè l’inizio della rivoluzione proletaria per affermare nel nostro Paese la dittatura del proletariato in cui non ci sarebbe stato posto per la testimonianza pubblica della fede cristiana. Le epurazioni, come sappiamo, continuarono ben oltre la fine della guerra fino all’assassinio di don Pessina, nel giugno del 1946.
La resistenza partigiana non aveva delle regole a riguardo?
L’assassinio
era proibito: esistevano dei tribunali che giudicavano le colpe e
dichiaravano le condanne. Vicino al luogo del martirio di Rolando, c’era
il tribunale partigiano di Farneta. Ma Rolando non ci fu mai portato.
Tutto quello che fu fatto contro Rolando, il sequestro, le brutali
torture, l’uccisione, fu fatto in violazione delle regole della guerra
partigiana e fu motivato dall’odio contro la sua testimonianza di fede.
Un odio provocato dall’ideologia.
Lei parla di un diverso modo di vivere la guerra partigiana.
Ci può fare un esempio?
Ci può fare un esempio?
Nel
libro parlo del comandante Valerio, figura ispirata a Pasquale Marconi,
medico cattolico, comandante delle Fiamme Verdi. Marconi si opponeva
alle epurazioni e alle uccisioni sommarie. Per questo il comandante dei
garibaldini gli diceva di stare attento perché: “Quando vinceremo,
faremo piazza pulita dei figuri come te», ma Marconi rispondeva: «Le
assicuro che, quando vinceremo noi, e affermeremo la democrazia, non
faremo piazza pulita dei figuri come lei, ma consentiremo loro di
continuare a calunniarci e ingiuriarci in libertà».
«Piazza pulita». Come Rolando.
Rolando
era un seminarista dalla vocazione sincera. Entrò undicenne in
seminario, affascinato dall’umanità di don Olimpo Mazzucchi, parroco di
San Valentino, grande educatore, appassionato al destino della gente,
attento alle cose che contano. Nel 1944 il seminario fu occupato dai
tedeschi in ritirata. Rolando, tornato a casa, proseguì la sua vita da
seminarista, vestendo sempre l’abito talare, come segno della sua
appartenenza a Gesù. Sapeva che correva un pericolo, ma non si tirò
indietro. Pochi mesi prima anche Don Olinto era stato brutalmente
picchiato.
Perché Rolando fu preso di mira?
Per
la sua irriducibile identità cristiana e per la sua instancabile
testimonianza che attirava gli altri ragazzi all’esperienza della fede.
Era Rolando che organizzava i giochi e poi invitava tutti in chiesa. Era
un fatto inammissibile per chi voleva cancellare Cristo dall’orizzonte
dell’uomo.
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