Inizierò col dire una cosa vietata. Esistono due generi geneticamente determinati: il maschile e il femminile. Punto. Con tutto il rispetto per i sacrosanti diritti delle minoranze, ma in natura esistono due sessi, e non tre o quattro. Sono impressionato dall’uso ideologico che si fa degli ormoni e delle terapie ormonali. Sono impressionato anche dei tentativi di manipolazione, sempre ideologica, del DNA umano. Mi inquieta la tendenza della cultura, dei media, della politica, della scienza, della chirurgia, della moda a creare un Essere Umano Medio Ermafrodito, come Modello Unico Omologato, che serve da riferimento per tutti, bambini compresi. Molti, oggi, hanno su quel punto, dopo decenni di bombardamenti ideologici, le idee piuttosto confuse. Ma in verità la Natura non mente e se, per i mammiferi, ha creato due sessi, una ragione c’è. Cerco di spiegarla.
La Natura (mettiamolo in maiuscolo come soggetto con una sua individualità) ha un unico scopo, e vale per tutte le specie viventi, dai virus agli esseri umani: vivere e riprodursi a costo delle altre specie. Quando noi ci facciamo una costoletta di maiale o uno spezzatino di vitello, eseguiamo semplicemente il dettato della Natura: viviamo e ci riproduciamo a costo delle altre specie. Ma anche quando ci mangiamo un’insalata, e questo non piacerà ai vegetariani, che vorrebbero invece continuare a sentirsi anime belle; quando noi ci mangiamo un’insalata, dicevo, viviamo e ci riproduciamo a costo di un’altra specie vivente, che farebbe benissimo a meno di noi ma che, in quanto più debole, è costretta a subire la nostra prepotente violenza. Si, perché ci sono ormai evidenze scientifiche che mostrano come le piante, sia pure in assenza di memoria e di apparato cognitivo, diano segni di sofferenza e di dolore, in una semantica a noi ovviamente ignota.
È semplicemente così. La natura è immorale e se ne fotte della sofferenza degli esseri viventi. Lei persegue il suo scopo e basta! Proprio per questo ha creato due generi biologici, due. Non tre, non quattro. Due! E sono fissati geneticamente, ciascuno con un suo compito nella riproduzione. Certamente, qualcuno dirà, ci sono in natura anche tendenze omosessuali in ciascuna specie di mammiferi. Va benissimo. Ma non è il punto. Qui stiamo parlando di un’altra cosa, cioè della struttura riproduttiva dei maschi e delle femmine, compresi coloro che hanno tendenze omosessuali.
Allora, qual è la madre di tutte le questioni? È il conflitto tra i due sessi nella strategia della riproduzione. Di questo mi occupo adesso, e in maniera piuttosto brutale.
Tanto negli esseri umani, quanto negli altri mammiferi, i due sessi hanno strategie diverse per la riproduzione. Il maschio obbedisce ottimamente alla Natura distribuendo il seme nel numero più alto possibile di ventri femminili, senza occuparsi della qualità umana della partner, ma facendo attenzione soltanto alla quantità si seme distribuito. La femmina invece riceve il seme da un unico maschio, perché da lì inizia il ciclo della gravidanza. Lei deve poi pensare allo svezzamento e allo sviluppo della prole; un processo che, in tutti i mammiferi, è relativamente lungo; negli esseri umani, lunghissimo. La femmina quindi, per questa ragione, tenderà a concentrarsi, appunto, su un unico maschio, scegliendolo, al momento dell’inseminazione, tra quelli che sembrano maschi Alfa (spalle large, bacino stretto e postura dominante). E ciò per trasmettere alla prole un buon bagaglio genetico. Ma, poi, e lì viene il difficile, la stessa femmina cercherà la quadratura del cerchio e vorrà, con ogni mezzo, indurre il maschio Alfa a sostenerla nella gravidanza, nello svezzamento e nello sviluppo dei piccoli. Difficile, perché il maschio Alfa è proprio quello ricercato dalle altre femmine per gli stessi motivi, perché ha le spalle larghe, il bacino stretto e una posizione dominante nel gruppo, e quindi garantisce una prole sana e di alta qualità genetica. Per parte sua, il maschio Alfa è ben contento di distribuire il suo seme a tutte le femmine che lo chiedono.
Di queste cose, sulla scorta delle ricerche del Prof. Carl Grammer, che io ebbi occasione di conoscere all’Istituto di Antropologia e di Etologia di Vienna, ho parlato più ampiamente in un mio post precedente, dal titolo “Ho chiamato questo principio Selezione naturale!”. Andatevelo a vedere.
Poi, chi non ci credesse e volesse mantenere una sua qualche fantasia romantica, potrebbe venire a fare una vacanza qui in Africa, da dove io scrivo. Vedrebbe villaggi, periferie e baraccopoli pieni di donne e bambini, i cui uomini e padri se sono andati, chissà quando e chissà dove, ed hanno lasciato, senza dire una parola, le ragazze sole con i figli, alla ricerca disperata di sostentamento e di sicurezza.
Succedeva anche da noi in Europa? Succedeva e succede anche troppo spesso! Tuttavia, da noi, c’è una cultura che si è sviluppata nei secoli ed ha sperimentato modelli di convivenza tra i sessi. Parlo della famiglia, così come la conosciamo oggi. Frutto di quello che io chiamerei “Il genio del cristianesimo”. Vuol dire che da duemila anni a questa parte, da noi in Europa, soprattutto grazie alla Chiesa cattolica, ci si è posti il problema di un luogo protettivo per entrambi i sessi (parlo della Chiesa Cattolica, perché le Chiese riformate non solo sono molto più giovani, ma hanno preso, a mio avviso, un indirizzo che definirei grottesco!).
Non che prima, o altrove nel mondo, la famiglia non esistesse. Naturalmente c’era! L’Islam ha sviluppato la famiglia patriarcale poligamica. Esistono anche poligamie matriarcali, come il Chewa, nel Malawi e in Zambia, che costringeva gli uomini per sopravvivere a riunirsi in società segrete. Tra i nobili romani c’era la Gens, che raggruppava diverse Familias e Clientes. Insomma, c’era il clan per i ricchi e, al di fuori, c’era il caos. Anche tra i greci antichi vigeva il clan tribale, in cui l’uomo più vecchio decideva della vita e della morte di tutti, compresi i neonati. Se al Capo del clan un neonato non piaceva, vuoi perché brutto, vuoi perché debole, malato o deforme, il bambino veniva “esposto”, cioè messo a disposizione dei passanti. Se nessuno lo prendeva, era destinato a morire di stenti.
La famiglia cristiana si sviluppò in Europa diversamente. Il suo senso antropologico era di rendere presente al maschio le sue responsabilità di fronte alla sua donna e ai suoi figli. Lo scopo, cioè, era di farlo diventare “uomo”, riprendendo il concetto latino di Vir, cioè dell’uomo in grado di manifestare una Virtus, una virtù, che è fatta di Fides e di Pietas, cioè di responsabilità e di amore. Siamo al centro della monogamia: una vera rivoluzione!
Le tracce di tale strategia nel corso dei secoli sono molte né voglio fare qui una lezione di storia. Prendo un solo simbolo che mi pare pregnante. La cosiddetta “posizione del Missionario” nell’atto sessuale, che noi oggi sfottiamo come inadeguata e priva di fantasia (gli inglesi la chiamano addirittura Vanillasex; capirai, loro che sono noti per il sesso travolgente! … vabbè).
La posizione del Missionario, dicevo, se la prendiamo come simbolo iconico, obbliga l’uomo a guardare negli occhi la sua donna e la madre dei suoi figli, e a riconoscerla come “unica”. Lo sguardo attiva il sentimento, la fedeltà e la sincerità. Chi mente, non guarda mai l’altro negli occhi. La menzogna si riconosce proprio da lì. È lo sguardo sincero di lei, quindi, che inchioda il maschio. Lo sguardo di lei gli dice: i figli che verranno sono anche tuoi!
La dolcezza ineffabile nel guardarsi che va oltre il dolore, oltre la paura fino alla radice dell’essere, è tutta in questa frase: i figli che verranno sono anche tuoi. Nello sguardo si riconosce l’anima umana nella sua individualità, il Pneuma nel suo principio originario. Per questo, gli occhi sono la via dell’anima o, rovesciando i termini e per dirla meglio con S. Agostino, le lacrime sono il sangue dell’anima. Non sarà un caso che nell’antico dialetto centro-italico, posizione del Missionario veniva menzionata come “posizione dell’Angelo” o “posizione angelica”, probabilmente -ma questa è una ipotesi mia- con riferimento alle parole dell’Arcangelo Gabriele quando, nel suo annuncio a Maria, guardandola appunto negli occhi, egli le dice: “concepirai un figlio e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31).
È, quello, il momento simbolico del riconoscimento reciproco, basato sulla fiducia e sull’amore tra Maschile e Femminile. Fides et Caritas. E se il modello Famiglia, sia pure nei suoi limiti, che sono anche molti, è durato duemila anni, vuol dire che così male non è. Soprattutto perché, offrendo protezione ad entrambi, garantiva la prole e, quindi, il proseguimento della specie umana in condizioni accettabili.
Quando entra in crisi quel modello?
La crisi comincia attorno alla metà del 19.mo secolo e le cause in realtà sono già nel simbolo stesso, cioè nella posizione subalterna della donna. Che non deve essere ma (troppo) spesso è.
Per capirne meglio le ragioni, prendo un altro simbolo, stavolta dalla mitologia greca: le Amazzoni. Se è vero che la mitologia è il sogno premonitore dell’umanità, vuol dire che la paura della rivolta delle donne c’era da sempre. Ma chi sono le Amazzoni? Sono donne che, a un certo punto, decidono di rivoltarsi verso i loro compagni guerrieri e diventare guerriere anch’esse. Per farlo in maniera più aggressiva, si amputano il seno destro e lo sostituiscono con un cupola di rame. Lo scopo è quello di rendere più forte il braccio per l’uso della lancia e della spada. Il nome viene dal greco antico Αμαζόνες, dove il prefisso negativo Alfa annulla il termine seguente (seno o massa morbida).
L’Amazzone è la donna ribelle, la quale, per essere tale, deve rinunciare alla capacità di nutrire in favore della capacità di offendere; deve sostituire il morbido al duro, l’accoglienza all’oltraggio. Questo è però anche il suo dramma perché, per fare ciò, deve rinunciare al suo Femminile.
Lì è il difficile, perché il Femminile è l’essenza della sua vita. Ma, una volta deciso per la guerra, guerra sia! E, come accade in ogni guerra, c’è bisogno di una strategia e di alleati. Non lo si può fare dall’oggi al domani. E il suo stratagemma strategico sta proprio lì: anzitutto distruggere la famiglia nel nome della libertà; quindi nell’inventare generi intermedi e, nel contempo, valorizzare i maschi simili a lei che le possano essere da supporto mentre brandisce l’arco contro il guerriero opprimente.
E qui veniamo al presente. Il punto, a mia avviso, non sta nella guerra tra i sessi, perché, visto che le classi sociali sono in conflitto, le culture sono in conflitto, le etnie sono in conflitto, gli Stati sono in conflitto, va bene se anche i sessi entrano in conflitto. Per carità! Il conflitto è uno dei punti portanti della società occidentale. Il punto è che questo è un conflitto particolare, perché, a mio avviso, la vera rivolta dell’Amazzone non è soltanto contro il maschio in sé, ma soprattutto contro l’imperativo naturale della riproduzione della specie. La distruzione del Femminile (che tra l’altro la maggioranza delle donne rifiuta, o accetta passivamente) porta lentamente all’estinzione perlomeno della etnia bianca, visto che gli africani se ne fottono delle nostre seghe mentali e continuano a riprodursi come fanno da otto milioni di anni a questa parte.
Dell’istinto suicidario di un popolo, aveva già parlato Sigmund Freud in un suo libro del 1920, Jenseits des Lustprinzips. Freud si riferiva ad un desiderio di morte (Todestrieb) che sopraggiunge quando una specie, all’apice della sua civiltà, non regge più gli stimoli alla vita e tende ad azzerarli con un istinto contrario: la morte. Di questo parlerò nel mio prossimo post, ammesso che i Santi Inquisitori di FB me lo facciano fare.
Mauro Montanari, Ph. D.
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