Non temeteli dunque. Non vi è infatti nulla di nascosto che non debba
essere rivelato, e di occulto che non debba essere conosciuto. Ciò che vi dico
nelle tenebre ditelo nella luce, e ciò che udite all'orecchio ditelo sopra i
tetti. E non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere
l'anima; temete piuttosto colui che può perdere l'anima e il corpo nella geenna.
Girolamo: In che modo dunque nel mondo presente i vizi di
molti non sono conosciuti? Ma si scrive del tempo futuro, quando Dio giudicherà
le cose nascoste degli uomini e illuminerà i segreti delle tenebre, e
manifesterà le intenzioni dei cuori (1
Cor 4,5). E il senso è: non temete la crudeltà dei persecutori e la rabbia
dei bestemmiatori, poiché verrà il giorno del giudizio nel quale anche la
vostra virtù e la loro malvagità saranno dimostrate.
Ilario: Ciò che vi
dico nelle tenebre ditelo nella luce, e ciò che udite all'orecchio ditelo sopra
i tetti. Non leggiamo che il Signore fosse solito parlare di notte, o
trasmettere la dottrina nelle tenebre, ma dice questo poiché ogni suo discorso
è tenebra per gli uomini carnali, e la sua parola per gli increduli è notte.
Così ciò che fu detto da lui va annunciato con la libertà della fede e della
confessione.
Remigio: Il senso è dunque: Ciò che vi dico nelle tenebre, cioè fra i Giudei increduli, voi ditelo nella luce, cioè predicatelo
ai fedeli; e ciò che udite all'orecchio,
ossia quanto vi dico segretamente, predicatelo
sui tetti, cioè davanti a tutti.
Girolamo: oppure diversamente: Ciò che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, ossia ciò che vi
dico nel mistero predicatelo apertamente;
e ciò che udite all'orecchio ditelo sopra i tetti, ossia ciò che vi ho
insegnato nella piccola regione della Giudea insegnatelo audacemente in tutte
le città del mondo.
Agostino: E non temete
coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può perdere
l'anima e il corpo nella geenna, ciò però non avverrà prima che l’anima si
sia riunita al corpo, con un’unione che non sarà più distrutta; e tuttavia
giustamente si parla ancora di morte dell’anima, perché allora essa non vive
più di Dio; e anche di morte del corpo, poiché
in quest’ultima dannazione, sebbene l’uomo non perda il sentire,
tuttavia, dato che questo sentire non gli apporterà più alcuna dolcezza né
alcuna pace, ma solo il dolore della pena, questo stato merita di essere
chiamato più morte che vita.
Crisostomo: Vedi ancora che non permette loro la liberazione
della morte, ma li persuade a non temere la morte, il che è molto di più che
essere strappati alla morte; e con questo discorso imprime in essi il dogma
dell’immortalità.
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