“La ragione e la rivelazione, la natura della nostra
anima e l’intima e molteplice connessione di tutte le cose tra loro, ci
insegnano che il presente è annodato indissolubilmente con l’avvenire,
che tutto ciò che facciamo o pensiamo ha delle sue conseguenze e che
queste conseguenze si distendono nell’infinito, cosicché noi un giorno
raccoglieremo quello che ora abbiamo seminato. Nulla vi è
d’insignificante, se lo riguardiamo sotto l’aspetto della ricompensa che
ci aspetta. Il pensiero buono o cattivo che coltiviamo, la passione
buona o cattiva che fomentiamo, l’azione buona o cattiva che facciamo,
possono oscurarsi, affievolirsi, cadere nell’oblio; ma la traccia che
hanno lasciata nell’anima nostra non può essere mai cancellata. Dopo
anni ed anni, dopo secoli, possono ridivenire così vivaci e pungenti da
causare gioia o vergogna, piacere o dolore… La ragione e la Scrittura
c’insegnano a credere che il Signore, quale nostro giudice, acuirà lo
sguardo del nostro spirito e ci farà vedere perfino pensieri,
immaginazioni ed azioni che credevamo da molto tempo sepolti e scomparsi
nell’abisso della dimenticanza. Se, dunque, il presente è connesso con
tanta precisione e indissolubilità con l’avvenire, noi possiamo e
dobbiamo riguardalo e usarlo sempre in considerazione di questo. Così
deve fare ogni sapiente, specialmente ogni sacerdote. In questa maniera
non perderà mai di vista il futuro. In questa maniera ogni giorno della
sua vita diviene una preparazione per l’eternità. In questa maniera ogni
giorno egli semina del buon seme per la raccolta futura.”
Meditazione 23 febbraio 1832
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