L'obiettivo dell'autore era il ricordo devoto o tenere lontano magicamente il male?
di Monsignor Michael Heintz, Ph.D.
Circa 1.500 anni fa, un cristiano egiziano scrisse su un papiro certi
passi del racconto del Vangelo di Matteo relativo all’Ultima Cena e del
Salmo 78. La scoperta di questo preziosissimo oggetto, trovato tra le
migliaia di papiri ospitati nella John Rylands Library dell’Università
di Manchester (Gran Bretagna), è stata riferita di recente ottenendo dai
media una pubblicità ben più grande di quella che ci si sarebbe
aspettati.
Esistono altri frammenti di questo tipo, e molti di loro sono più antichi. Perché dunque questo sensazionalismo? La risposta si può rinvenire in questo titolo: “Il papiro sull’Ultima Cena potrebbe essere uno dei più antichi amuleti cristiani”.
Roberta Mazza, che ha scoperto questo frammento di papiro, lo ha descritto come “uno dei primi documenti registrati a usare la magia nel contesto cristiano e il primo amuleto mai trovato che si riferisca all’Eucaristia… come la manna dell’Antico Testamento”. Il frammento di papiro era un amuleto magico usato come mezzo primitivo per allontanare il male? Vorrei suggerire una spiegazione storica e ben più plausibile del suo significato e del suo utilizzo, che non riduce la fede e la pratica cristiane al livello di “magia”.
Il libro del Deuteronomio (11,18), supportato da Esodo 13,9-16, riferisce il comando divino al Popolo di Israele: “Porrete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi”. I passi della Torah, la Legge – nella fattispecie lo Shemà, la preghiera più profonda dell’ebraismo e una confessione di fede nel Signore –, erano collocati in piccole scatole, poi note come tefillin, e poste sulla fronte e sul braccio. Alcuni ebrei osservanti le usano ancora oggi. Non sono ritenute un “amuleto”. Servono, come dichiara chiaramente il testo biblico, come promemoria tangibile della fedeltà al Signore, della risposta alla sua Parola.
Esistono altri frammenti di questo tipo, e molti di loro sono più antichi. Perché dunque questo sensazionalismo? La risposta si può rinvenire in questo titolo: “Il papiro sull’Ultima Cena potrebbe essere uno dei più antichi amuleti cristiani”.
Roberta Mazza, che ha scoperto questo frammento di papiro, lo ha descritto come “uno dei primi documenti registrati a usare la magia nel contesto cristiano e il primo amuleto mai trovato che si riferisca all’Eucaristia… come la manna dell’Antico Testamento”. Il frammento di papiro era un amuleto magico usato come mezzo primitivo per allontanare il male? Vorrei suggerire una spiegazione storica e ben più plausibile del suo significato e del suo utilizzo, che non riduce la fede e la pratica cristiane al livello di “magia”.
Il libro del Deuteronomio (11,18), supportato da Esodo 13,9-16, riferisce il comando divino al Popolo di Israele: “Porrete dunque nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi”. I passi della Torah, la Legge – nella fattispecie lo Shemà, la preghiera più profonda dell’ebraismo e una confessione di fede nel Signore –, erano collocati in piccole scatole, poi note come tefillin, e poste sulla fronte e sul braccio. Alcuni ebrei osservanti le usano ancora oggi. Non sono ritenute un “amuleto”. Servono, come dichiara chiaramente il testo biblico, come promemoria tangibile della fedeltà al Signore, della risposta alla sua Parola.
Dai battibecchi che coinvolgono
lo gnosticismo nel II e nel III secolo alle controversie iconoclaste nel
VII e nell’VIII, i cristiani hanno speso molta energia alle prese con
l’ordine materiale creato. Lungi dal rifiutare il mondo materiale come
il prodotto dell’abuso o dell’incompetenza di una divinità minore, come
un regno oscuro in cui l’anima (spesso associata alla “luce”) era
intrappolata e anelava alla libertà, i cristiani hanno riconosciuto
l’ordine creato come fondamentalmente buono, anche se danneggiato dal
peccato e dal male provocati dalla ribellione contro Dio. Il
cristianesimo è nato in un mondo dominato dal fatalismo.
Forse il
motivo principale del fascino evangelico in un mondo di questo tipo è
il fatto che offriva una storia di liberazione dagli anonimi poteri
cosmici che sembravano appostarsi minacciosamente nell’ombra. La pratica
cristiana di “benedire” oggetti e persone, derivata dall’ebraismo, era
assai collegata alla convinzione che Gesù, Dio, aveva strappato la
creazione alla sua forza inesorabile solipsistica verso la distruzione e
aveva iniziato a guarire e a ripristinare il cosmo nel suo obiettivo
originale nel progetto divino. “Benedire” qualcosa era reclamarlo per
l’obiettivo per il quale era stato creato nel progetto divino, in cui
tutte le cose – materiali e spirituali – lodano in qualche modo il loro
unico Creatore.
I cristiani benedicevano ogni tipo di oggetti, e
alcuni di questi sono arrivati ad avere un ruolo o un obiettivo
speciale, indici nella vita quotidiana della vita e dell’amore di Dio
offerti loro in Gesù. Molto dopo sono diventati noti come
“sacramentali”, con il nome che indica la libertà inerente al
cristianesimo: le cose create possono e devono diventare trasparenti e
rivelare il loro Creatore, il Dio il cui amore e la cui misericordia
Gesù ha reso noti in modo definitivo.
Forse questo papiro è stato
inteso dal suo proprietario come nient’altro che un mero amuleto
magico, per allontanare la devastazione spesso provocata in un cosmo
disordinato e che provocava disordine. Sappiamo che il paganesimo (nei
suoi avatar antichi e moderni) ha in effetti usato tali oggetti, ma il
paganesimo ha ampiamente perso vigore nel V secolo.
Questa
possibilità non può essere assolutamente scartata, ma forse – e solo
forse – questo papiro era più simile ai testi inseriti nei tefillin ebraici:
testi amati onorati (almeno dalla metà del III secolo) come sacri, un
promemoria tangibile dell’impegno della fede, una relazione vivente con
il Signore. Forse questo papiro non è altro che un antenato di tanti
sacramentali cristiani: non amuleti magici, ma oggetti concreti e
apparentemente ordinari che, agli occhi della fede, rispecchiano
chiaramente lo spirito di Colui che li ha fatti. Solo nel Suo amore,
nella Sua misericordia e nella Sua provvidenza è possibile la vera
libertà.
Monsignor Michael Heintz, Ph.D. è
un sacerdote della diocesi di Fort Wayne – South Bend (Indiana, Stati
Uniti) e rettore della St. Matthew Cathedral a South Bend. Ordinato nel
1993, nel 2008 ha conseguito il dottorato in Patristica Latina e Greca
presso l’Università di Notre Dame. Impartisce corsi universitari e
post-lauream di Teologia e sta completando la traduzione delle “Omelie
sui Salmi” di Origene, che comparirà in una serie sui Padri della Chiesa
pubblicata dalla Catholic University of America Press.
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