Nella simbologia cristiana gli “strumenti” della Passione sono gli
oggetti associati alla crocifissione di Gesù: la croce, i chiodi, la
lancia, la spugna, la corona di spine, la colonna della flagellazione.
Ognuno di essi è divenuto oggetto di venerazione per i cristiani di ogni
tempo e considerato sacra reliquia.
La Sagoma della Croce
L’immagine della crux simplex (quella ad I) – essendo rozza – non si accordava con un discorso artistico.
Il pesce, con l’essenza figurata della croce, apparteneva a un simbolismo proprio della clandestinità. Ragion per cui, superata la fase della persecuzione, si è aperta la fase della raffigurazione artistica consistente nella “glorificazione della forca”.
L’arte cristiana si è impossessata della croce a T con i primi dipinti del IV secolo.
Tuttavia, successivamente l’ha modificata sino a giungere all’attuale simbolo con il vettore verticale che si allunga sopra la trave orizzontale.
Il pesce, con l’essenza figurata della croce, apparteneva a un simbolismo proprio della clandestinità. Ragion per cui, superata la fase della persecuzione, si è aperta la fase della raffigurazione artistica consistente nella “glorificazione della forca”.
L’arte cristiana si è impossessata della croce a T con i primi dipinti del IV secolo.
Tuttavia, successivamente l’ha modificata sino a giungere all’attuale simbolo con il vettore verticale che si allunga sopra la trave orizzontale.
I Chiodi
Premessa iniziale
Secondo i quattro Vangeli non c’è stata una crocifissione “privilegiata” per Cristo e una crocifissione “comune” per i ladroni. Cristo è stato cioè crocifisso come gli altri condannati: sullo stesso tipo di croce e nell’identico modo.
Ciò nonostante, l’iconografia sacrale non ha rispettato la traccia del racconto biblico.
Vero è che in qualche dipinto medievale Cristo appare legato con le corde. Ma già prima i chiodi avevano preso il sopravvento.
Nelle prime due figure Gesù appare crocifisso mediante chiodi; i due ladroni invece sono legati con corde. I ladroni evidenziano il gradino iconografico precedente, le tracce della metamorfosi del Crocifisso. In un caso o nell’altro, i venerandi artisti hanno mentito.
I chiodi comparvero per la prima volta sulle mani, mentre i piedi restarono liberi o annodati con una corda. In seguito, ciascun piede fu trapassato da un chiodo. In totale quattro chiodi (come nella croce della Chiesa Ortodossa). Infine, con la scuola di Margaritone e Cimabue, si passò a un solo chiodo sui due piedi accavallati. Così da giungere a tre chiodi complessivi, in ossequio al significato allegorico, fors’anche esoterico, del numero 3.
Il Poggiapiedi (Suppedanio)
La croce, oltre ad essere uno strumento di tortura, aveva funzione
“deterrente” per scoraggiare le rivolte (Spartacus 71 a.C.) e
l’inosservanza delle leggi.
In quell’ottica era del tutto illogico far riposare “comodamente” i piedi del condannato-torturato. Anche qui è utile comunque osservare la differenza tra Cristo e i due ladroni. Si riscontri la differenza tra i chiodi e le corde sui piedi dei tre condannati.
Tradizione vuole che presso la croce, l’imperatrice Elena (madre dell’imperatore Costantino) trovò anche i chiodi serviti alla crocifissione di Gesù. Testimoni dell’epoca affermano che non fu difficile riconoscerli perché a differenza degli altri, ricoperti di ruggine, questi conservavano la primitiva lucentezza.
Dei chiodi, uno fu riverentemente calato in mare da Elena durante il viaggio di ritorno a Roma, mentre con tutto l’equipaggio della nave che stava per affondare, pregava Dio per calmare la violenta tempesta che si era improvvisamente scatenata. Fatto, questo, abbastanza frequente in quella zona del Mar Adriatico che, per la turbolenza delle sue acque, era anticamente chiamata “la voragine dei naviganti”. E l mare, a quel contatto, si acquietò.
Elena regalò quel chiodo alla Chiesa di Treviri di cui era Arcivescovo, all’epoca, S. Agrizio.
Gli altri chiodi furono inviati al figlio Costantino, il quale se ne servì per garantire da ogni sinistro la propria persona: ne fece inserire uno nel suo elmo e un altro lo fece modellare a forma di morso per il suo cavallo, onde essere protetto nei tanti pericoli delle battaglie.
Si parla anche di un quarto chiodo che Costantino avrebbe fatto collocare, sempre per avere protezione, nella briglia del cavallo, ma qui interviene il dilemma sul numero dei chiodi.
In quell’ottica era del tutto illogico far riposare “comodamente” i piedi del condannato-torturato. Anche qui è utile comunque osservare la differenza tra Cristo e i due ladroni. Si riscontri la differenza tra i chiodi e le corde sui piedi dei tre condannati.
Tradizione vuole che presso la croce, l’imperatrice Elena (madre dell’imperatore Costantino) trovò anche i chiodi serviti alla crocifissione di Gesù. Testimoni dell’epoca affermano che non fu difficile riconoscerli perché a differenza degli altri, ricoperti di ruggine, questi conservavano la primitiva lucentezza.
Dei chiodi, uno fu riverentemente calato in mare da Elena durante il viaggio di ritorno a Roma, mentre con tutto l’equipaggio della nave che stava per affondare, pregava Dio per calmare la violenta tempesta che si era improvvisamente scatenata. Fatto, questo, abbastanza frequente in quella zona del Mar Adriatico che, per la turbolenza delle sue acque, era anticamente chiamata “la voragine dei naviganti”. E l mare, a quel contatto, si acquietò.
Elena regalò quel chiodo alla Chiesa di Treviri di cui era Arcivescovo, all’epoca, S. Agrizio.
Gli altri chiodi furono inviati al figlio Costantino, il quale se ne servì per garantire da ogni sinistro la propria persona: ne fece inserire uno nel suo elmo e un altro lo fece modellare a forma di morso per il suo cavallo, onde essere protetto nei tanti pericoli delle battaglie.
Si parla anche di un quarto chiodo che Costantino avrebbe fatto collocare, sempre per avere protezione, nella briglia del cavallo, ma qui interviene il dilemma sul numero dei chiodi.
Benché gli ultimi studi attestino che i chiodi che trafissero Gesù
furono tre (uno per ciascuna mano e uno per i piedi, inchiodati uno
sopra l’altro), non va tuttavia trascurato il chiodo che affiggeva il
“titulus” e gli altri chiodi usati per connettere al legno verticale,
quello trasversale della croce.
Così trasformati, i chiodi, passarono ai successivi imperatori, fino a Teodosio, che donò quello inserito nel morso del cavallo all’arcivescovo di Milano, S. Ambrogio, in seguito al perdono che egli concesse per la strage di Tessalonica, in cui perirono 6000 cristiani.
Il santo chiodo si trova ora nel Duomo di Milano, in un reliquiario a forma di croce posto alla sommità dell’abside. Una volta all’anno, in occasione della festa della S. Croce, l’arcivescovo, per esporlo alla venerazione dei fedeli, sale a prenderlo con una particolare carrucola a forma di nuvola, ora elettrificata, e risalente al 1500 (la famosa “Nivula” di San Carlo).
Altri chiodi si ritiene fossero conservati a Costantinopoli fino all’epoca dell’imperatore Giustiniano. Ciò si basa sul fatto che il Pontefice S. Vigilio, che nell’anno 555 si trovava in quella città per la condanna dell’Eresia Tricapitolare, fece giuramento proprio “sulla virtù dei Santi Chiodi che in quel luogo si conservavano”.
Qualche decennio dopo, nel 586, l’imperatore Costantino Tiberio regalò i chiodi a S. Gregorio Magno che ritornava a Roma. Fu allora che uno dei chiodi venne donato alla Basilica di S. Croce in Roma dove è tuttora conservato.
Dell’altro chiodo non si hanno notizie certe, anche se la maggior parte afferma che, forgiato a forma di cerchio, sia stato inserito nella celebre Corona Ferrea conservata nel Duomo di Monza, corona che è servita, lungo i secoli, per incoronare imperatori e re. L’ultimo fu Napoleone, incoronato “Re d’Italia”, il quale si pose personalmente la corona sul capo profferendo la famosa frase: “Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca”.
Non deve poi meravigliare il fatto che diverse chiese venerino il possesso di un chiodo. per soddisfare la pietà dei fedeli, si sa che furono limati i vari chiodi, specialmente quello che è a Roma e che, proprio per questo non ha più la punta. La limatura veniva poi inserita in altri chiodi, fatti alla foggia di quelli veri, che in tal modo si sono moltiplicati.
Così trasformati, i chiodi, passarono ai successivi imperatori, fino a Teodosio, che donò quello inserito nel morso del cavallo all’arcivescovo di Milano, S. Ambrogio, in seguito al perdono che egli concesse per la strage di Tessalonica, in cui perirono 6000 cristiani.
Il santo chiodo si trova ora nel Duomo di Milano, in un reliquiario a forma di croce posto alla sommità dell’abside. Una volta all’anno, in occasione della festa della S. Croce, l’arcivescovo, per esporlo alla venerazione dei fedeli, sale a prenderlo con una particolare carrucola a forma di nuvola, ora elettrificata, e risalente al 1500 (la famosa “Nivula” di San Carlo).
Altri chiodi si ritiene fossero conservati a Costantinopoli fino all’epoca dell’imperatore Giustiniano. Ciò si basa sul fatto che il Pontefice S. Vigilio, che nell’anno 555 si trovava in quella città per la condanna dell’Eresia Tricapitolare, fece giuramento proprio “sulla virtù dei Santi Chiodi che in quel luogo si conservavano”.
Qualche decennio dopo, nel 586, l’imperatore Costantino Tiberio regalò i chiodi a S. Gregorio Magno che ritornava a Roma. Fu allora che uno dei chiodi venne donato alla Basilica di S. Croce in Roma dove è tuttora conservato.
Dell’altro chiodo non si hanno notizie certe, anche se la maggior parte afferma che, forgiato a forma di cerchio, sia stato inserito nella celebre Corona Ferrea conservata nel Duomo di Monza, corona che è servita, lungo i secoli, per incoronare imperatori e re. L’ultimo fu Napoleone, incoronato “Re d’Italia”, il quale si pose personalmente la corona sul capo profferendo la famosa frase: “Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca”.
Non deve poi meravigliare il fatto che diverse chiese venerino il possesso di un chiodo. per soddisfare la pietà dei fedeli, si sa che furono limati i vari chiodi, specialmente quello che è a Roma e che, proprio per questo non ha più la punta. La limatura veniva poi inserita in altri chiodi, fatti alla foggia di quelli veri, che in tal modo si sono moltiplicati.
Ricerca a cura del Dott. Ivan Perusi
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