Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, Vescovo.
(Om. 2, Panegirico di san Paolo, apostolo; PG 50,477-480)
Che cosa sia l’uomo e quanta la nobiltà della nostra natura, di quanta
forza sia capace questo essere pensante lo mostra in un modo del tutto
particolare Paolo. Ogni giorno saliva più in alto, ogni giorno sorgeva
più ardente e combatteva con sempre maggior coraggio contro le
difficoltà che incontrava. Alludendo a questo diceva: Dimentico il
passato e sono proteso verso il futuro (cfr. Fil 3,13). Vedendo che la
morte era ormai imminente, invitava tutti alla comunione di quella sua
gioia dicendo: «Gioite e rallegratevi con me» (Fil 2,18). Esulta
ugualmente anche di fronte ai pericoli incombenti, alle offese e a
qualsiasi ingiuria e, scrivendo ai Corinzi, dice: Sono contento delle
mie infermità, degli affronti e delle persecuzioni (cfr. 2 Cor 12,10).
Aggiunge che queste sono le armi della giustizia e mostra come proprio
di qui gli venga il maggior frutto, e sia vittorioso dei nemici. Battuto
ovunque con verghe, colpito da ingiurie e insulti, si comporta come se
celebrasse trionfi gloriosi o elevasse in alto trofei. Si vanta e
ringrazia Dio, dicendo: Siano rese grazie a Dio che trionfa sempre in
noi (cfr. 2 Cor 2,14). Per questo, animato dal suo zelo di apostolo,
gradiva di più l’altrui freddezza e le ingiurie che l’onore, di cui
invece noi siamo così avidi. Preferiva la morte alla vita, la povertà
alla ricchezza e desiderava assai di più la fatica che non il riposo.
Una cosa detestava e rigettava: l’offesa a Dio, al quale per parte sua
voleva piacere in ogni cosa.
Godere dell’amore di Cristo era il culmine delle sue aspirazioni e,
godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Senza di
esso al contrario nulla per lui significava l’amicizia dei potenti e dei
principi. Preferiva essere l’ultimo di tutti, anzi un condannato però
con l’amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più
potenti del mondo, ma privo di quel tesoro.
Il più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato perdere questo
amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l’unica sola pena, il più
grande e il più insopportabile dei supplizi.
Il godere dell’amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo,
condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene. All’infuori di
questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava
alle cose sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le
rivoluzioni di popoli perdevano ogni mordente. Pensava infine che la
morte, la sofferenza e mille supplizi diventassero come giochi da
bambini quando si trattava di sopportarli per Cristo.
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