Ambrogio, Sulla penitenza 2,71-73.78
☩
Signore, possa tu
degnarti di venire a questa mia tomba, di lavarmi con le tue lacrime,
poiché nei miei occhi inariditi non ne ho tante da poter lavare le
mie colpe! Se piangerai per me, sarò salvo. Se sarò degno delle tue
lacrime, tutti i miei peccati saranno cancellati. Chiama dunque a
uscire da se stesso il tuo servo. Quantunque, stretto nei vincoli dei
miei peccati, io abbia avvinti i piedi, legate le mani e sia ormai
sepolto nei miei pensieri e nelle opere morte, alla tua chiamata
uscirò libero e diventerò uno dei commensali nel tuo convito. E la
tua casa si riempirà di prezioso profumo, se custodirai colui che ti
sei degnato di redimere. Non permettere che si perda, ora che è
vescovo, colui che, quand'era perduto, hai chiamato all'episcopato, e
concedimi anzitutto di essere capace di condividere con intima
partecipazione il dolore dei peccatori. Anzi, ogni volta che si
tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne
compassione e di non rimbrottarlo altezzosamente, ma di gemere e
piangere, così che, mentre piango su un altro, io pianga su me
stesso ripetendo assieme a Giuda: «Tamar è più giusta di me». Chi
gode della caduta altrui, gode della vittoria del diavolo. Perciò
rattristiamoci piuttosto quando sentiamo che si è perduto un uomo,
uno per cui è morto il Cristo stesso.
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