Cavalieri e cavalleria nel Medioevo: l’origine
Intorno all’VIII secolo cominciò a diffondersi in Europa l’uso di
combattere a cavallo. Questa pratica si affermò grazie all’arrivo
dall’Asia della staffa. Con questo piccolo ma
fondamentale accorgimento era possibile «puntellare» i piedi ed evitare
di essere sbalzati di sella al primo scontro. I protagonisti di questa
trasformazione furono i popoli nomadi germanici, i quali, a differenza
dei Romani, erano eccellenti cavallerizzi.
Nei tre secoli successivi, i soldati a cavallo divennero professionisti della guerra legati da un vincolo di fedeltà al loro signore. Essi
dovevano provvedere al proprio equipaggiamento, ossia procurarsi armi e
armatura e un buon cavallo; per questo, in quel tempo di grande e
diffusa povertà, poteva divenire cavaliere solo chi era abbastanza ricco
e apparteneva alla nobiltà.
A partire dall’XI secolo, i cavalieri, fino ad allora quasi sempre
analfabeti, divennero via via più colti e raffinati: la frequentazione
delle corti dei Signori e l’adesione sempre più convinta ai precetti del
cristianesimo
ammorbidirono i loro modi violenti e spietati. La stessa Chiesa
intervenne per frenare i loro eccessi, cercando di imporre loro un
codice di comportamento morale e religioso. Così, anche per distinguere i
veri cavalieri dai semplici predoni di strada, fu creato l’istituto
della cavalleria. Chi entrava a farne parte doveva sottostare a una serie di regole: dalla cerimonia d’investitura al rispetto di alcune norme di comportamento.
Cavalieri e cavalleria nel Medioevo: come si diventava cavaliere
Era necessario seguire un percorso lungo ed elaborato. Così, all’età
di sette anni, i figli di cavalieri e i figli cadetti dei feudatari
(cioè coloro che non ereditavano il feudo in quanto non primogeniti)
diventavano
paggi, svolgevano cioè servizi domestici
per i signori e per le dame di corte e cominciavano ad apprendere l’arte
militare e le virtù cavalleresche nelle «scuole di cavalleria» dei
castelli.
Più tardi, a partire dai quattordici anni, si mettevano al servizio di un cavaliere, accompagnandolo in battaglia o a caccia o nei tornei, e venivano addestrati all’uso delle armi e all’equitazione.
Verso i vent’anni erano pronti per l’investitura,
ossia per la nomina ufficiale a cavaliere, che poteva avvenire dopo una
battaglia, per il coraggio e l’abilità militare dimostrati o, in tempo
di pace, in occasione di una pubblica cerimonia civile e religiosa.
Prima, però, lo scudiero doveva vegliare in preghiera (da qui il detto “Passare una notte in bianco”), confessarsi, partecipare alla messa e fare la comunione.
Solo allora si svolgeva la cerimonia dell’investitura: il signore
feudale o un alto prelato lo nominava ufficialmente cavaliere, dandogli
un energico colpo sulla nuca, posandogli la spada su entrambe le spalle,
mentre lui stava inginocchiato, e pronunciando la formula: «Nel nome di
Dio, di san Michele e di san Giorgio, io ti faccio cavaliere».
Cavalieri e cavalleria nel Medioevo: norme di comportamento del cavaliere
Una volta nominato cavaliere, egli era tenuto a rispettare una serie di norme di comportamento. Se non lo faceva, era accusato di fellonìa (o villanìa) e poteva essere epulso dalla cavalleria.
Ecco il decalogo del cavaliere:
1. Tu crederai a tutto ciò che la Chiesa insegna e osserverai i suoi comandamenti.
2. Tu proteggerai la Chiesa.
3. Tu avrai rispetto per tutti i deboli e te ne sarai difensore.
4. Tu amerai il paese nel quale sei nato.
5. Tu non indietreggerai davanti al nemico.
6. Tu farai guerra agli infedeli senza tregua né misericordia.
7. Tu adempirai scrupolosamente i tuoi doveri feudali purché essi non siano contrari alla legge di Dio.
8. Tu non mentirai e sarai fedele alla parola data.
9. Tu sarai generoso e largheggerai con tutti.
10. Tu sarai sempre e comunque il campione del diritto e del bene contro l’ingiustizia e il male.
Cavalieri e cavalleria nel Medioevo: l’armatura e le armi del cavaliere
I cavalieri in battaglia si proteggevano dai colpi nemici mediante lo
scudo, solitamente di forma tonda, ma anche a goccia, secondo l’uso normanno, e l’
armatura, prima in cuoio e poi in metallo.
L’armatura in metallo era detta
cotta, una tunica a maglie di ferro lunga fino a metà coscia e dotata di maniche.
Più tardi, a partire dal Quattrocento, si affermò anche l’armatura a piastre, molto
più pesante (circa 25 chili) e copriva l’intero corpo, compresi i
piedi. Era costituita di piastre di ferro articolate fra loro mediante
piccoli anelli, allo scopo di agevolare i movimenti.
L’armatura comprendeva anche l’elmo, il quale, dato che
ricopriva interamente la testa, aveva una fessura per gli occhi, che
poteva far parte di una visiera articolata e apribile. A volte l’elmo
era dotato di cimiero, un pennacchio di piume o di penne con funzione ornamentale. Talvolta il cavaliere, a ulteriore protezione, indossava la cotta.
Anche il cavallo era corazzato, oltre che rivestito (soprattutto durante i tornei) da una gualdrappa con gli emblemi e i colori della casata.
Nelle cariche a cavallo, il cavaliere reggeva una robusta lancia lunga tre o quattro metri. Per reggere l’inevitabile contraccolpo, veniva appoggiata a una sporgenza della corazza detta “resta“. Dopo l’urto della prima carica, il cavaliere impugnava solitamente una pesante spada, ma anche (allo scopo di sfondare le armature nemiche) una ascia o una mazza ferrata formata da una testa di ferro (a volte chiodata) montata su un manico di legno.