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domenica 28 aprile 2024

Cardinale Giacomo Biffi - Pericoli Mortali

Ci corre l’obbligo di se­gnalare due pericoli mortali che incombono sull’azione evangelizzatrice del nostro tempo. Tutti e due provengono dal desiderio improvvido di «facilitare» la nostra missione accorciando arbitrariamente, per così dire, la distanza che separa la miseria dell’uomo dalla salvezza di Dio.
È la tentazione di sostituire alla pietà del Signore che vuol trasformare i cuori con la luce della verità, una nostra apparente misericordia che – illanguidendo la distinzione sia tra i fatti avvenuti e le pure idee sia tra il bene e il male – toglie alla creatura ogni ragione di purificarsi e di ele­varsi secondo il disegno del suo Creatore.
C’è prima di tutto l’inclinazione a risolvere il fatto salvifico – che esige il «salto» coraggioso dell’atto di fede – in una serie di valori agevolmente esitabili sui mercati mon­dani. Così il Vangelo non è più precipuamente il vangelo della morte redentrice, della risurrezione, dell’universale signoria di Cristo: diventa il vangelo della solidarietà, del dialogo tra i popoli e le religioni, del progresso, della pro­mozione umana, della ecologia ecc.
A questo modo, se ci si arresta a questi valori e non si riesce a risalire all’evento pasquale, che tutti li fonda, più che evangelizzare si viene mondanizzati; più che offrire un riscatto, che ci è donato dall’alto, si dà all’umanità l’illusio­ne che possa riscattarsi da sola con una serie di buoni pro­positi; più che apostoli di Gesù di Nazaret, si diventa pro­pagandisti omologati dei miti secolaristici.
Il discorso è delicato e può provocare dei frainten­dimenti. Perciò mi pare opportuno tornare a chiarire, come ho già fatto altrove, il rapporto che c’è tra la persona del Salvatore e l’offerta di alcune mète come socialmente ap­prezzabili per se stesse.
È indubitabile che il cristianesimo sia prima di ogni al­tra cosa «avvenimento»; ma è altrettanto indubitabile che questo avvenimento propone e sostiene dei «valori» irri­nunciabili. Non si può, per amore di dialogo, sciogliere il fatto cristiano in una serie di valori condivisibili dai più; ma non si può neppure disistimare i valori autentici, quasi fos­sero qualcosa di trascurabile. Occorre dunque un discerni­mento.
Ci sono dei valori assoluti: tali sono il vero, il bene, il bello. Chi li percepisce e li onora e li ama, percepisce, ono­ra e ama Gesù Cristo, anche se non lo sa e magari si crede ateo, perché nell’essere profondo delle cose Cristo è la ve­rità, la giustizia, la bellezza.
Ci sono valori relativi, come il culto della solidarietà, l’amore per la pace, il rispetto della natura, l’atteggiamento di dialogo, ecc. Questi meritano un giudizio più articolato, che preservi la riflessione da ogni ambiguità.
Solidarietà, pace, natura, dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio ini­ziale e informale a Cristo e al suo mistero. Ma se nella sua attenzione essi si assolutizzano fino a svellersi del tutto dal­la loro oggettiva radice o, peggio, fino a contrapporsi al­l’annuncio del fatto salvifico, allora diventano istigazioni all’idolatria e ostacoli sulla strada della salvezza.
Allo stesso modo, nel cristiano, questi stessi valori – so­lidarietà, pace, natura, dialogo – possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale e appassionata ade­sione a Gesù, Signore dell’universo e della storia. Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicina­to con tutti, quasi senza avvedersene stempera sostanzial­mente il fatto salvifico nella esaltazione e nel conseguimen­to di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, e consuma a poco a poco il peccato di apostasia.

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