di Pier Luigi Guiducci -
Sono numerose
le tracce e i ritrovamenti che conducono, in modo diretto o indiretto,
alla persona di Gesù di Nazareth. Focalizzarne meglio i riferimenti
storici espliciti diventa, allora, una conseguenza logica.
Per un lungo periodo di tempo la
storicità di Cristo è stata oggetto di un ampio dibattito. Sul piano
ufficiale, il tema del confronto ha sempre avuto al centro Gesù di
Nazareth. Però, dietro a molti rilievi inerenti la sua reale presenza
nella Palestina del I secolo, sono emerse anche delle spinte legate a
dottrine di pensiero diverse, influsso di correnti gnostiche, posizioni
di religioni non cristiane, orientamenti politici avversi all’autorità
ecclesiastica cattolica (nelle sue diverse espressioni), risentimenti
legati a conflitti di potere, personalismi sottesi a dure polemiche.
Sono poi da aggiungere le molte distruzioni del patrimonio cristiano
(edifici di culto, monasteri, biblioteche, opere iconografiche) in
diversi Paesi, già dal I secolo.
Questo contesto storico, qui solo accennato, non ha facilitato la
comprensione delle reciproche ragioni, e non ha permesso di effettuare
ricerche in zone di elevato interesse archeologico, e in determinati
luoghi di conservazione di reperti di notevole valore storico. Con il
mutare di molti contesti internazionali, e con lo sviluppo di indagini
moderne impostate con metodo interdisciplinare (con valorizzazione della
stessa archeologia), è stato possibile recuperare molto tempo perduto, e
far conoscere alla comunità internazionale i risultati di faticose
ricerche.[1]
Il presente studio, senza alcuna presunzione di esaustività, cerca di
focalizzare l’attuale stato della ricerca, e rivolge una particolare
attenzione ad alcune fonti non cristiane e ai contributi offerti da
specialisti anche non cattolici.
Ritrovamenti archeologici: 1857
Il graffito rinvenuto sul Palatino
Nel 1857 venne trovata sul colle Palatino (Roma) un’insolita
rappresentazione figurativa. Si trattava di un graffito con la
caricatura di un uomo crocifisso con testa d’asino. Ai suoi piedi, un
altro uomo in atto di adorazione. Sul reperto si legge la scritta:
“Alexamenoj sebete theon” (“Alessameno venera [il suo] dio”).[2]
La raffigurazione proviene dal Paedagogium, un edificio che ospitava
coloro che dovevano svolgere compiti di assistenza all’imperatore. Tali
persone provenivano, verosimilmente, da classi sociali medio-alte. La
struttura venne eretta negli anni di Domiziano (Tito Flavio; 81-96
d.C.), ma il graffito è ritenuto di età severiana (200 d.C. circa).[3]
Il fatto di rappresentare Cristo Crocifisso con una “testa d’asino”
conduce a ritenere di essere in presenza di un’espressione ingiuriosa,
abituale in quel periodo. Configurandosi una bestemmia, diversi autori
non utilizzarono questo reperto tra le fonti non cristiane che si
riferiscono a Gesù.[4]
Ritrovamenti archeologici: 1941-1990
Nel 1941, nella valle del Cedron (Gerusalemme), il professor Eleazar Lipa Sukenik (1889- 1953)[5] ritrovò un ossario del I secolo d.C.[6]
Conteneva le spoglie di una famiglia originaria di Cirene. Fu
individuato, in particolare, il nome di “Alessandro di Cirene, figlio di
Simone”. Tenuto conto del fatto che Cirene è una località molto
distante da Gerusalemme, e che Alessandro era un nome relativamente poco
diffuso nella comunità ebraica del tempo, gli studiosi ritennero
plausibile l’ipotesi che l’ossario racchiudeva i resti della famiglia di
Simone il Cireneo, che il Vangelo di Marco identifica appunto come il
“padre di Alessandro e Rufo”.[7]
Trascorsero una quindicina di anni. Nel periodo intercorrente tra il 1955 e il 1962, un francescano, il padre Bellarmino Bagatti (1905-1990), scoprì a Nazareth tre diversi graffiti dove si leggono chiaramente invocazioni in greco alla Vergine Maria, la madre di Gesù.[8]
Nel 1961 venne ritrovata una lapide (82×65 cm) con un’iscrizione che menziona Ponzio Pilato[9], Praefectus Iudaeae, colui che condannò a morte Cristo.[10] Il reperto era collocato su un edificio dedicato all’imperatore Tiberio.[11] Una missione archeologica dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano, guidata da Antonio Frova (1914-2007), scoprì l’iscrizione ribaltando il gradino di una scala, in un’ala aggiunta tardivamente all’anfiteatro di Cesarea Marittima.[12] La lapide è datata 31 d.C. L’iscrizione è attualmente conservata nel Museo di Israele (Gerusalemme).[13]
Nel dicembre del 1990, nella Peace Forest, vicino North Talpiyyot (quartiere di Gerusalemme), durante la costruzione di un parco fu scoperta una grotta funeraria del periodo del Secondo Tempio. In tale luogo fu rinvenuta una tomba di famiglia al cui interno si trovava un’urna sepolcrale con l’iscrizione “Yehosef bar Kayafa” (“Giuseppe figlio di Caifa”). Nell’ossario, come sostenuto dall’archeologo ed epigrafista Ronny Reich (nato nel 1947), erano racchiuse le ossa di Caifa. Si ricorda, al riguardo, che Giuseppe figlio di Caifa (noto come Caifa), fu sommo sacerdote e capo del sinedrio ebraico dal 18 al 36. Ricoprì tale carica ai tempi di Gesù che fece arrestare, e di cui sollecitò in modo energico la morte (cfr. Lc e Gv).
Dalla fine del 1991 fino a tutto il 1992, due studiosi, gli archeologi ed architetti greci George Lavas e Saki Mitropoulos, lavorarono nell’area del Golgota (basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme).
Trascorsero una quindicina di anni. Nel periodo intercorrente tra il 1955 e il 1962, un francescano, il padre Bellarmino Bagatti (1905-1990), scoprì a Nazareth tre diversi graffiti dove si leggono chiaramente invocazioni in greco alla Vergine Maria, la madre di Gesù.[8]
Nel 1961 venne ritrovata una lapide (82×65 cm) con un’iscrizione che menziona Ponzio Pilato[9], Praefectus Iudaeae, colui che condannò a morte Cristo.[10] Il reperto era collocato su un edificio dedicato all’imperatore Tiberio.[11] Una missione archeologica dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano, guidata da Antonio Frova (1914-2007), scoprì l’iscrizione ribaltando il gradino di una scala, in un’ala aggiunta tardivamente all’anfiteatro di Cesarea Marittima.[12] La lapide è datata 31 d.C. L’iscrizione è attualmente conservata nel Museo di Israele (Gerusalemme).[13]
Nel dicembre del 1990, nella Peace Forest, vicino North Talpiyyot (quartiere di Gerusalemme), durante la costruzione di un parco fu scoperta una grotta funeraria del periodo del Secondo Tempio. In tale luogo fu rinvenuta una tomba di famiglia al cui interno si trovava un’urna sepolcrale con l’iscrizione “Yehosef bar Kayafa” (“Giuseppe figlio di Caifa”). Nell’ossario, come sostenuto dall’archeologo ed epigrafista Ronny Reich (nato nel 1947), erano racchiuse le ossa di Caifa. Si ricorda, al riguardo, che Giuseppe figlio di Caifa (noto come Caifa), fu sommo sacerdote e capo del sinedrio ebraico dal 18 al 36. Ricoprì tale carica ai tempi di Gesù che fece arrestare, e di cui sollecitò in modo energico la morte (cfr. Lc e Gv).
Dalla fine del 1991 fino a tutto il 1992, due studiosi, gli archeologi ed architetti greci George Lavas e Saki Mitropoulos, lavorarono nell’area del Golgota (basilica del Santo Sepolcro, Gerusalemme).
Le ricerche presso la roccia del Golgota
La nave con l’incisione Domine ivimus
Presso la roccia del Golgota hanno lavorato, nel tempo, più specialisti.[14] Come è noto agli storici, la parte centrale del sito fu parzialmente asportata da Adriano (imperatore dal 76 al 138)[15],
e ricoperta da un tempio. Ma l’area del Golgota è comunque vasta. Si
pensi che alcune sue parti si trovano, ad esempio, sotto la chiesa
evangelica del Redentore (quartiere Muristan). In tale contesto, in uno
dei versanti posti all’interno dell’area del Santo Sepolcro (nella
cosiddetta cappella di san Vartan), degli archeologi armeni hanno
scoperto l’epigrafe in latino di un pellegrino cristiano.
Inciso nella pietra c’è il disegno di una nave con l’albero rovesciato e la scritta sottostante: “Domine ivimus” (Signore, siamo arrivati).[16] Qui, dunque, erano giunti dei pellegrini. Questi ultimi non poterono raggiungere la parte centrale della roccia, poiché su di essa c’era il tempio di Adriano. Così realizzarono un disegno e un’iscrizione un poco distante, restando comunque nell’area della roccia del Golgota. Ciò può essere avvenuto tra il 135 ed il 326, negli anni in cui il vero luogo della crocifissione era inaccessibile. Ed anche questo ritrovamento conferma a sua volta quanto la tradizione del luogo sia stata conservata con tenacia e precisione nei secoli.
Ma la scoperta più recente è legata al lavoro dei già citati Lavas e Mitropoulos. Furono loro a occuparsi del dissotterramento dell’intera parte superiore della roccia nella cappella greco-ortodossa del Golgota. Essi constatarono che, sotto le lastre di marmo del luogo di culto, si trovava uno strato di malta di calce rotondo, dello spessore di 50 cm, rimasto intatto da secoli. Fu asportato con cautela. Si scoprì, nel mezzo, una cavità rotonda, ove si trovava un anello di pietra di quasi 11 cm di diametro. Non c’era alcun dubbio che l’anello serviva al fissaggio di una croce. Si infilava la croce nell’incavo, attraverso l’anello, fino ad incastrarvela, per poterla poi innalzare. Era questo l’anello della croce di Cristo?
Inciso nella pietra c’è il disegno di una nave con l’albero rovesciato e la scritta sottostante: “Domine ivimus” (Signore, siamo arrivati).[16] Qui, dunque, erano giunti dei pellegrini. Questi ultimi non poterono raggiungere la parte centrale della roccia, poiché su di essa c’era il tempio di Adriano. Così realizzarono un disegno e un’iscrizione un poco distante, restando comunque nell’area della roccia del Golgota. Ciò può essere avvenuto tra il 135 ed il 326, negli anni in cui il vero luogo della crocifissione era inaccessibile. Ed anche questo ritrovamento conferma a sua volta quanto la tradizione del luogo sia stata conservata con tenacia e precisione nei secoli.
Ma la scoperta più recente è legata al lavoro dei già citati Lavas e Mitropoulos. Furono loro a occuparsi del dissotterramento dell’intera parte superiore della roccia nella cappella greco-ortodossa del Golgota. Essi constatarono che, sotto le lastre di marmo del luogo di culto, si trovava uno strato di malta di calce rotondo, dello spessore di 50 cm, rimasto intatto da secoli. Fu asportato con cautela. Si scoprì, nel mezzo, una cavità rotonda, ove si trovava un anello di pietra di quasi 11 cm di diametro. Non c’era alcun dubbio che l’anello serviva al fissaggio di una croce. Si infilava la croce nell’incavo, attraverso l’anello, fino ad incastrarvela, per poterla poi innalzare. Era questo l’anello della croce di Cristo?
L’anello della croce di Cristo?
Gli archeologi si astennero da conclusioni affrettate. Mitropoulos fornì solo due possibili interpretazioni del ritrovamento.
1) Poteva trattarsi di un anello sistemato nel 326. In quell’anno, la madre dell’imperatore Costantino (Elena, 248 circa-329), volle preservare il luogo della crocifissione di Cristo, e quello della sua sepoltura. Per tale motivo suo figlio autorizzò l’edificazione – sopra quell’area – della basilica del Santo Sepolcro.
Si tratterebbe, allora, di un anello costruito in memoria della crocifissione. Se anche fosse “solo” questo, “quell’anello” fornirebbe notevoli indicazioni. Perché? Perché la pratica del fissaggio della croce attraverso un anello (allora sconosciuta agli archeologi), doveva basarsi su precise conoscenze, su salde informazioni tramandate. Chi, altrimenti, si sarebbe inventato un anello di 11 cm di diametro?
Quest’ultimo è un dato-chiave. “Quel” diametro significa che la croce non poteva essere più alta di 2,40 metri. E questa modesta altezza contraddice le aspettative di vari autori. Non conferma neanche quanto si è voluto rappresentare fino ad oggi – ad esempio nelle arti figurative – al di sotto del corpo del Signore crocifisso.
Sull’altezza della croce anche gli evangelisti non forniscono dati. Emerge, così, una situazione ove l’archeologia non è sostenuta da altre scienze.
2) Esiste, poi, un’altra possibilità. L’effettiva appartenenza di “questo” anello alla croce di Gesù.
Di fronte a tale ipotesi, qualcuno potrebbe obiettare che Adriano fece distruggere Gerusalemme nel 135 (fu una seconda distruzione) ed edificare sopra i luoghi del Golgota e del Sepolcro vuoto dei templi. In tal modo si impediva l’accesso ai cristiani (molti erano pellegrini).
Però, proprio questa disposizione dell’imperatore potrebbe aver contribuito alla conservazione della cavità e dell’anello. Adriano, infatti, fece asportare ampie parti della roccia e lasciò stare solo la parte centrale, che spianò. E infatti è stata ritrovata solo una cavità e non anche le due degli altri che furono crocifissi con Gesù. Inoltre, per il compimento di tale azione non serviva distruggere l’interno della cavità di centro. Bastava riempirla e spianarla in modo da potervi costruire sopra. Proprio questo accadde, come indicano con chiarezza i reperti archeologici.
Cavità e anello possono, dunque, essere autentici. Nel frattempo, a Salonicco, sono stati analizzati l’anello e la malta di calce per arrivare a una datazione.
Nel corso dei lavori dei due archeologi greci si è pure arrivati a un’ulteriore conferma dell’autenticità della roccia del Golgota. Sotto la malta di calce (ora rimossa), è emersa per tutta la roccia (fin sotto alla cappella di Adamo) una frattura.
Gli scettici, sulla base della parte inferiore della roccia (l’unica prima visibile), avevano ritenuto – fino a quel momento – che si trattasse di un difetto naturale della roccia. Ora, invece, è sicuro che la frattura è stata causata da un evento naturale di particolare impatto. Per Lavas e Mitropoulos si tratta della conseguenza del terremoto menzionato dall’evangelista Matteo: “La terra tremò, le rocce si spezzarono”.[17]
1) Poteva trattarsi di un anello sistemato nel 326. In quell’anno, la madre dell’imperatore Costantino (Elena, 248 circa-329), volle preservare il luogo della crocifissione di Cristo, e quello della sua sepoltura. Per tale motivo suo figlio autorizzò l’edificazione – sopra quell’area – della basilica del Santo Sepolcro.
Si tratterebbe, allora, di un anello costruito in memoria della crocifissione. Se anche fosse “solo” questo, “quell’anello” fornirebbe notevoli indicazioni. Perché? Perché la pratica del fissaggio della croce attraverso un anello (allora sconosciuta agli archeologi), doveva basarsi su precise conoscenze, su salde informazioni tramandate. Chi, altrimenti, si sarebbe inventato un anello di 11 cm di diametro?
Quest’ultimo è un dato-chiave. “Quel” diametro significa che la croce non poteva essere più alta di 2,40 metri. E questa modesta altezza contraddice le aspettative di vari autori. Non conferma neanche quanto si è voluto rappresentare fino ad oggi – ad esempio nelle arti figurative – al di sotto del corpo del Signore crocifisso.
Sull’altezza della croce anche gli evangelisti non forniscono dati. Emerge, così, una situazione ove l’archeologia non è sostenuta da altre scienze.
2) Esiste, poi, un’altra possibilità. L’effettiva appartenenza di “questo” anello alla croce di Gesù.
Di fronte a tale ipotesi, qualcuno potrebbe obiettare che Adriano fece distruggere Gerusalemme nel 135 (fu una seconda distruzione) ed edificare sopra i luoghi del Golgota e del Sepolcro vuoto dei templi. In tal modo si impediva l’accesso ai cristiani (molti erano pellegrini).
Però, proprio questa disposizione dell’imperatore potrebbe aver contribuito alla conservazione della cavità e dell’anello. Adriano, infatti, fece asportare ampie parti della roccia e lasciò stare solo la parte centrale, che spianò. E infatti è stata ritrovata solo una cavità e non anche le due degli altri che furono crocifissi con Gesù. Inoltre, per il compimento di tale azione non serviva distruggere l’interno della cavità di centro. Bastava riempirla e spianarla in modo da potervi costruire sopra. Proprio questo accadde, come indicano con chiarezza i reperti archeologici.
Cavità e anello possono, dunque, essere autentici. Nel frattempo, a Salonicco, sono stati analizzati l’anello e la malta di calce per arrivare a una datazione.
Nel corso dei lavori dei due archeologi greci si è pure arrivati a un’ulteriore conferma dell’autenticità della roccia del Golgota. Sotto la malta di calce (ora rimossa), è emersa per tutta la roccia (fin sotto alla cappella di Adamo) una frattura.
Gli scettici, sulla base della parte inferiore della roccia (l’unica prima visibile), avevano ritenuto – fino a quel momento – che si trattasse di un difetto naturale della roccia. Ora, invece, è sicuro che la frattura è stata causata da un evento naturale di particolare impatto. Per Lavas e Mitropoulos si tratta della conseguenza del terremoto menzionato dall’evangelista Matteo: “La terra tremò, le rocce si spezzarono”.[17]
Ritrovamenti archeologici: 2004-2011
Santo Stefano dipinto da Giotto
Nel 2004, a Bet Gemal[18],
il padre Émile Puech (nato nel 1941), un esperto di epigrafia antica
presso l’École Biblique et Archéologique di Gerusalemme, decifrò su una
tabula ansata su un architrave, la scritta scolpita nella pietra:
“Diakonikon” (cioè un luogo per conservare reliquie) Stephanou
Protomartyros”. Era la prova definitiva che in questa località (l’antica
Kfargamla) il primo martire cristiano Stefano ebbe la sua prima
sepoltura.
Tre anni dopo, il professor Ehud Netzer (1934-2010), dell’Università
Ebraica di Gerusalemme, ritrovò la tomba di Erode il Grande, re della
Giudea durante il protettorato romano.[19] L’evangelista Matteo lo indica come colui che tentò di far uccidere Gesù.[20] Altri scavi hanno confermato i dati dell’evangelista Giovanni con riferimento alla piscina di Siloe.[21]
Secondo Ronny Reich (nato nel 1947), dell’Università di Haifa, la
presenza di Gesù nei pressi della piscina potrebbe essere legata alle
abluzioni rituali che precedevano l’entrata nel tempio di Gerusalemme.
Il 21 dicembre del 2009, sul sito dell’Israel Ministry of Foreign
Affairs apparve questo titolo: “Residential building from the time of
Jesus exposed in Nazareth”. In pratica, l’archeologa israeliana Yardenna
Alexandre, dell’Israel Antiquieties Authority, aveva scoperto a
Nazareth una casa dei tempi di Gesù (I secolo) nei pressi della “casa di
Maria”.[22]
Si può, ancora, ricordare il ritrovamento (estate 2011), effettuato nel
sito di Hierapolis (oggi Pamukkale, Turchia) della tomba dell’Apostolo
Filippo. In questo caso, a dirigere i lavori, è stato l’archeologo
Francesco D’Andria, direttore dell’Istituto per i Beni Archeologici e
Monumentali (IBAM), presso il CNR di Lecce.[23]
Ma è utile una sosta. Per un motivo. Tutti i dati segnano delle tracce
orientate – in modo diretto o indiretto – alla persona di Gesù di
Nazareth. Focalizzarne meglio i riferimenti storici espliciti diventa,
allora, una conseguenza logica.La cronaca di Giuseppe Flavio
Giuseppe Flavio (37 circa-100 circa) fu uno scrittore e storico di origine ebraica.[24] Delegato del sinedrio e governatore della Galilea, divenne consigliere dell’imperatore Vespasiano (Tito Flavio, 9-79 d.C.)[25] e di suo figlio Tito (Flavio Vespasiano, 39-81)[26]. Nelle sue Antichità giudaiche,
cita anche Gesù e i cristiani. In un passo descrive la lapidazione
dell’apostolo Giacomo, che era a capo della comunità cristiana di
Gerusalemme, avvenuta nel 62, e presentata come un atto sconsiderato del
sommo sacerdote nei confronti di un uomo virtuoso: “Anano (…) convocò
il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il
Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione
della legge e condannandoli alla lapidazione”.[27]
Questa descrizione è in sintonìa con quella riportata dall’apostolo Paolo nella lettera ai Galati (1,19), dove egli fa riferimento a “Giacomo, il fratello del Signore”. In un altro passo, lo storico indica la figura di Giovanni il Battista.[28]
C’è poi un capitolo della stessa opera, conosciuto come Testimonium Flavianum. Nel 1971, il professor Shlomo Pinés (1908-1990)[29], dell’università ebraica di Gerusalemme, pubblicò la traduzione di una diversa versione del Testimonium, come citato in un manoscritto arabo del X secolo. Il brano compare ne Il libro del Titolo dello storico arabo-cristiano Agapio (morto nel 941). Agapio fu anche vescovo melchita di Hierapolis (in Frigia, Asia Minore). Agapio riporta solo in modo approssimativo il titolo dell’opera di Giuseppe, e afferma che il suo lavoro è basato su una cronaca più antica, scritta in siriaco da Teofilo di Edessa (morto nel 785), andata persa. È un testo migliore di quello greco tramandato fino a quel momento, perché non si individuano possibili interpolazioni. Si riporta qui di seguito il passo.
“Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: ‘Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso, e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono alla sua dottrina e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie’ ”.[30]
Questa descrizione è in sintonìa con quella riportata dall’apostolo Paolo nella lettera ai Galati (1,19), dove egli fa riferimento a “Giacomo, il fratello del Signore”. In un altro passo, lo storico indica la figura di Giovanni il Battista.[28]
C’è poi un capitolo della stessa opera, conosciuto come Testimonium Flavianum. Nel 1971, il professor Shlomo Pinés (1908-1990)[29], dell’università ebraica di Gerusalemme, pubblicò la traduzione di una diversa versione del Testimonium, come citato in un manoscritto arabo del X secolo. Il brano compare ne Il libro del Titolo dello storico arabo-cristiano Agapio (morto nel 941). Agapio fu anche vescovo melchita di Hierapolis (in Frigia, Asia Minore). Agapio riporta solo in modo approssimativo il titolo dell’opera di Giuseppe, e afferma che il suo lavoro è basato su una cronaca più antica, scritta in siriaco da Teofilo di Edessa (morto nel 785), andata persa. È un testo migliore di quello greco tramandato fino a quel momento, perché non si individuano possibili interpolazioni. Si riporta qui di seguito il passo.
“Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: ‘Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso, e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono alla sua dottrina e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie’ ”.[30]
La testimonianza di Tacito
Cornelio Tacito
Cornelio Tacito (56/57 circa-120 circa) proveniva da una famiglia
equestre. Fu questore, pretore, console e proconsole d’Asia. Gli
studiosi lo considerano uno storico scrupoloso. Plinio il Giovane ne
loda la diligenza. Per la sua posizione politica aveva accesso agli Acta Senatus (i verbali delle sedute del Senato romano) e agli Acta diurna populi romani
(gli atti governativi e le notizie su quanto accadeva ogni giorno).
Riportando la decisione dell’imperatore Lucio Domizio Enobarbo Nerone
(37-68)[31]
di riversare sui cristiani la colpa dell’incendio che distrusse Roma
per una settimana, nel 64 d.C., Tacito annota: “Nerone si inventò dei
colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia,
detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani.
Origine di questo nome era Christus, il quale sotto l’impero di Tiberio era stato condannato all’estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato”.[32]
Tacito evidenzia il fatto che il titolo di “cristiani” deriva da una persona realmente esistita, chiamata Christus, il nome latino per Cristo. Di lui si afferma che ha subìto “l’estrema condanna”, alludendo al iudicium in cruce
in uso anche presso i romani. Questi avvenimenti sono avvenuti “durante
il regno di Tiberio”, e per decisione di Ponzio Pilato. Sono tutte
conferme di quanto raccontano gli evangelisti sulle circostanze della
morte di Gesù.
Tacito riporta anche le seguenti notizie sulla persecuzione contro i
cristiani: “Alla pena vi aggiunse lo scherno: alcuni coperti con pelli
di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad
altri fu appiccato il fuoco in modo da servire d’illuminazione notturna,
una volta che era terminato il giorno. Nerone aveva offerto i suoi
giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo, ove egli con la
divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle corse
con il suo carro… [I cristiani] erano annientati non per un bene
pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo”.
La lettera di Plinio il Giovane a Traiano
Plinio il Giovane (61/62-113 circa)[33] era stato allievo del retore[34]
Marco Fabio Quintiliano (35/40-96). Tra il 111 e il 113 fu governatore
romano della provincia della Bitinia e del Ponto (Asia Minore). Si
conserva una raccolta di sue Epistole in dieci libri. Il decimo libro contiene il carteggio che intercorse tra lui e l’imperatore Marco Ulpio Nerva Traiano (53-117).[35]
Le missive risalgono in gran parte al periodo del governatorato in
Bitinia. In particolare, in uno scritto, egli chiede direttive al
monarca su come condurre le procedure legali contro le persone accusate
di essere cristiane.[36]
Ha necessità di consultare l’imperatore perché un gran numero di
persone, di ogni età, sesso e ceto sociale, erano state accusate di
professare la religione cristiana. Il procedimento che usa Plinio è il
seguente: interroga i presunti cristiani. Se essi risultano tali, e non
ritrattano entro il terzo interrogatorio, li condanna a morte. Per
coloro che negano di essere cristiani, o che dicono di esserlo stato in
passato, anche vent’anni prima, egli pretende la dimostrazione di quanto
affermano, inducendoli a sacrificare agli dei, a venerare l’effigie
dell’imperatore, e a imprecare contro Gesù Cristo.
A un certo punto della lettera, Plinio riporta dei dati sui cristiani:
“Essi avevano l’abitudine di incontrarsi in un certo giorno prestabilito
prima che facesse giorno, e quindi cantavano in versi alternati a
Cristo, come a un dio, e pronunciavano il voto solenne di non compiere
alcun delitto, né frode, furto o adulterio, né di mancare alla parola
data, né di rifiutare la restituzione di un deposito; dopo ciò, era loro
uso sciogliere l’assemblea e riunirsi poi nuovamente per partecipare al
pasto, un cibo di tipo ordinario e innocuo”.[37]
Questo passaggio informa quindi che i primi cristiani si incontravano
regolarmente in un certo giorno per adorare Cristo. Ciò dimostra che
credevano fermamente nella sua divinità. La frase che sottolinea come i
cristiani cantassero inni a Cristo “come a un dio”, viene interpretata
come riferimento al fatto singolare che, “a differenza degli dèi adorati
dai romani, Cristo era una persona che era vissuta sulla terra”.[38]
Se questa lettura è corretta, allora Plinio comprendeva che i cristiani
stavano adorando una persona realmente esistita, la quale – però –
aveva anche una natura divina. Tale conclusione è in sintonìa con
l’affermazione di Giovanni: “Et Verbum caro factum est”.[39]
La lettera di Plinio rivela pure la particolare considerazione riservata
dai primi cristiani alle parole di Gesù. Essi “pronunciavano il voto
solenne” di non violare regole morali. Ciò trova origine negli
insegnamenti di Cristo. Inoltre, il riferimento di Plinio all’uso
cristiano di consumare dei pasti in comune, si collega alla loro
osservanza di prescrizioni quali la comunione e lo “spezzare del pane”
di cui fa riferimento il Nuovo Testamento.[40]
Il governatore romano sottolinea anche che il loro era “un cibo di tipo
ordinario e innocuo”, rigetta quindi le false accuse di “cannibalismo
rituale” sollevate da alcuni pagani[41], insieme con altre simili dicerie, e non ritiene i cristiani membri pericolosi di gruppi sovversivi.
Le annotazioni di Svetonio
Svetonio in una miniatura del 1493
Gaio Svetonio Tranquillo (75 circa-140 circa) fu un archivista. Segretario e bibliotecario dell’imperatore Adriano.[42] Nelle Epistole[43] si trova un riferimento a Gesù e ai suoi seguaci. Inoltre, nell’opera Vita dei dodici Cesari,
egli include due dati che interessano in modo particolare. Il primo si
trova nella vita di Claudio. Questo è il testo: “Iudaeos impulsore
Chresto assidue tumultuantes Roma expulit” (“Espulse da Roma i Giudei
che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine”).[44]
Non stupisce il fatto che Svetonio scriva Chrestus invece di Christus. Basti notare che le parole greche chrēstós (buono, eccellente) e christós (unto
con olio, lucente) erano pronunciate allo stesso modo, e potevano
essere facilmente confuse, specie da chi non fosse ben informato sui
fatti. A riprova di ciò, si osserva che Svetonio fa riferimento ai
giudei in modo generico. Svetonio non riesce a comprendere, come
avveniva anche per gli altri suoi contemporanei, le differenze esistenti
tra la comunità ebraica e quella più recente formata dai cristiani. Si
limita a ricordare quello che per lui è solo un provvedimento imperiale
mirato a risolvere delle tensioni. In realtà, il contesto è più
articolato. La predicazione del Cristo tra i giudei romani da parte di
altri giudei, non poteva che generare delle forti reazioni. Se ne ha
un’ulteriore conferma negli Atti degli Apostoli [45]. In tale contesto, la cronaca di Svetonio concorda con quanto è riferito negli Atti
riguardo all’arrivo di Paolo a Corinto: “Dopo di ciò, partito da Atene
[Paolo] andò a Corinto. E trovato un giudeo di nome Aquila, pontico di
nascita, da poco giunto dall’Italia, e la moglie sua Priscilla, per il
fatto che Claudio aveva ordinato che tutti i giudei partissero da Roma,
andò da loro”.[46]
Il secondo riferimento ai cristiani Svetonio lo colloca nella vita di
Nerone. Viene riassunto quanto già riportato da Tacito, e sono ripetute
le accuse di superstizione: “Afflicti supliciis christiani, genus
hominum superstitionis novae ac maleficae” (“Sottopose a supplizi i
cristiani, una razza di uomini di una superstizione nuova e malefica”).[47]
Lo scritto di Luciano di Samosata
Il siriano Luciano di Samosata (120 circa-180/192 circa), un rètore[48] scettico[49], attivo nell’età degli imperatori Antonini, fu autore di un’opera dal titolo La morte di Peregrino.
Vi si legge tra l’altro: “I cristiani […] tutt’oggi adorano un uomo,
l’insigne personaggio che introdusse i loro nuovi riti, e che per questo
fu crocifisso. […] Ad essi fu insegnato dal loro originale maestro che
sono tutti fratelli, dal momento della loro conversione, e negano gli
dèi della Grecia, e adorano il saggio crocifisso, vivendo secondo le sue
leggi”.[50]
Pur beffandosi dei primi cristiani per la loro scelta di seguire “il saggio crocifisso” anziché gli dèi della Grecia, Luciano riporta alcuni dati interessanti. Scrive che i cristiani servivano “un uomo” che “introdusse i loro nuovi riti”. E, sebbene i seguaci di questo “uomo” avevano chiaramente un alto concetto di lui, molti dei suoi contemporanei lo odiavano per gli insegnamenti, al punto che “per questo fu crocifisso”. Pur non citando il nome, è chiaro che Luciano si riferisce a Gesù.
Ma, cosa aveva fatto Cristo per farsi odiare fino a questo punto? Secondo il retore romano, aveva insegnato che tutti gli uomini sono fratelli dal momento della loro conversione. E fin qui nulla quaestio. Ma, che s’intendeva con “conversione”? Significava abbandonare gli dèi della Grecia, adorare Gesù, e vivere secondo i suoi insegnamenti. Non è difficile immaginare in quell’epoca l’eliminazione di chi insegnava queste cose. Inoltre, anche se Luciano non lo scrive in modo esplicito, il fatto che i cristiani rinnegassero gli altri dèi e adorassero Gesù, e facessero questo pur consapevoli delle possibili persecuzioni, implica che Cristo era per loro – senza dubbio – più che un essere umano. Era un Dio superiore a tutti gli dèi dell’antica Grecia.
Pur beffandosi dei primi cristiani per la loro scelta di seguire “il saggio crocifisso” anziché gli dèi della Grecia, Luciano riporta alcuni dati interessanti. Scrive che i cristiani servivano “un uomo” che “introdusse i loro nuovi riti”. E, sebbene i seguaci di questo “uomo” avevano chiaramente un alto concetto di lui, molti dei suoi contemporanei lo odiavano per gli insegnamenti, al punto che “per questo fu crocifisso”. Pur non citando il nome, è chiaro che Luciano si riferisce a Gesù.
Ma, cosa aveva fatto Cristo per farsi odiare fino a questo punto? Secondo il retore romano, aveva insegnato che tutti gli uomini sono fratelli dal momento della loro conversione. E fin qui nulla quaestio. Ma, che s’intendeva con “conversione”? Significava abbandonare gli dèi della Grecia, adorare Gesù, e vivere secondo i suoi insegnamenti. Non è difficile immaginare in quell’epoca l’eliminazione di chi insegnava queste cose. Inoltre, anche se Luciano non lo scrive in modo esplicito, il fatto che i cristiani rinnegassero gli altri dèi e adorassero Gesù, e facessero questo pur consapevoli delle possibili persecuzioni, implica che Cristo era per loro – senza dubbio – più che un essere umano. Era un Dio superiore a tutti gli dèi dell’antica Grecia.
La critica di Marco Aurelio
Marco Aurelio (121-180 d.C.) fu
imperatore dal 161 al 180 d.C. Verso il 170 scrisse alcuni pensieri e
meditazioni filosofiche in un’opera in greco intitolata A se stesso [51].
Nel testo si trova questo passaggio: “Quale spettacolo è l’anima che si
mostra pronta, quando deve ormai staccarsi dal corpo ed estinguersi o
disperdersi o persistere! Ma questa prontezza deve venire da un proprio
giudizio individuale e non basarsi su una pura e semplice opposizione
come avviene tra i cristiani: deve risultare meditata, seria, in grado
di persuadere anche gli altri, lontana da ogni teatralità”.[52]
Nel suo scritto, l’imperatore critica i seguaci di Gesù perché sono
capaci di farsi uccidere pur di sostenere i propri ideali. Per Marco
Aurelio sono, evidentemente, dei fanatici.[53]
Le calunnie riportate nel testo di Minucio Felice
L’Octavius è un breve testo del 197 finalizzato alla difesa della religione cristiana. Trasmessoci come libro VIII dell’Adversus nationes (304-310
circa) di Arnobio, esso è però assegnato dalla tradizione cristiana del
III e del IV secolo (Lattanzio e Girolamo) a Minucio Felice, un
avvocato pagano convertito. Nell’Octavius, il pagano Cecilio, durante una passeggiata con gli amici Ottavio e Minucio, riferisce le dicerie sui cristiani:
“Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dèi, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! […] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. […] Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d’asino, non saprei per quale futile credenza […]. Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote […]. E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l’altare che più ad essi conviene […]. Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, […] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto […]. Il loro banchetto è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente un’orazione del nostro retore di Cirta […]. Si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte”.[54]
In risposta a queste accuse infamanti e di seconda mano (“Ho sentito dire…”), si possono ricordare le parole che un cristiano, di nome Giustino (100 circa-162/168), rivolse in quegli stessi anni ad un altro avversario del Cristianesimo, il filosofo cinico[55] Crescente: “Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata”.[56] È da notare che questo intervento riassume di fatto le accuse che circolavano già dal precedente secolo, sottese pure nelle parole di Tacito; ma se alcuni storici si preoccuparono di accertarne la veridicità (ad esempio Plinio il Giovane), altri le diffusero in modo acritico.
“Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dèi, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! […] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. […] Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d’asino, non saprei per quale futile credenza […]. Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote […]. E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l’altare che più ad essi conviene […]. Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, […] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto […]. Il loro banchetto è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente un’orazione del nostro retore di Cirta […]. Si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte”.[54]
In risposta a queste accuse infamanti e di seconda mano (“Ho sentito dire…”), si possono ricordare le parole che un cristiano, di nome Giustino (100 circa-162/168), rivolse in quegli stessi anni ad un altro avversario del Cristianesimo, il filosofo cinico[55] Crescente: “Veramente è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata”.[56] È da notare che questo intervento riassume di fatto le accuse che circolavano già dal precedente secolo, sottese pure nelle parole di Tacito; ma se alcuni storici si preoccuparono di accertarne la veridicità (ad esempio Plinio il Giovane), altri le diffusero in modo acritico.
La posizione del filosofo Celso
Celso è un filosofo greco del II secolo. Di lui si conserva in parte un’unica opera, l’Alethès lógos (“Discorso veritiero”) contro la religione cristiana. Lo scritto ci è pervenuto attraverso il Contra Celsum di Origène (185 circa-253), in cui l’autore cristiano riporta molti passi dell’Alethès lógos
per confutarli. In un primo brano, si fa riferimento alla “madre di
Gesù, scacciata dall’artigiano che l’aveva maritata, accusata di
adulterio, messa incinta da un certo soldato di nome Panthera”.[57]
L’accusa di illegittimità e la figura del soldato Panthera sono state
rinvenute anche in ambiente giudaico. In tal senso, l’origine del nome
Gesù figlio di Panthera (Jesȗa ben Pandera), testimoniato con piccole varianti grafiche, sarebbe una corruzione del greco parthénos (vergine).
Ecco un secondo testo: “Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese. E si proclamò da solo Dio a motivo di esse”.[58]
Un terzo riferimento: “Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste”.[59]
Ecco un secondo testo: “Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese. E si proclamò da solo Dio a motivo di esse”.[58]
Un terzo riferimento: “Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste”.[59]
Gesù nel Talmud babilonese
La crocifissione bianca, di Marc Chagall, 1938
Il Talmud (= insegnamento)[60] babilonese raccoglie in forma scritta la Torah
(la Legge) orale, trasmessa a partire da Mosè in forma non scritta
dalle varie scuole rabbiniche fino alla caduta di Gerusalemme nella
guerra giudaica del 66-74 d.C. Con la distruzione del secondo Tempio (70
d.C.), la fine della successiva guerra contro i Romani (135 d.C.), e
l’inizio della diaspora degli Ebrei, gli antichi insegnamenti –
tramandati oralmente a commento o integrazione della Torah scritta[61] – vennero messi per iscritto per timore di una loro perdita.
Il Talmud babilonese è costituito da una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti (hakhamim) e i maestri (rabbi) riguardanti le applicazioni e i problemi pratici della Torah scritta. In un passo di un trattato appartenente al Talmud (il “Sanhedrin”), si fa riferimento a un personaggio chiamato Gesù. Sanhedrin è il termine che corrisponde al Sinedrio, la più alta istituzione in materia legale esistente presso gli Ebrei nel I secolo d.C. Ecco il testo: “Si insegna: alla vigilia di Pesach (Pasqua) appesero Yeshu e il banditore proclamò in giro per quaranta giorni che ‘(Yeshu) verrà lapidato per aver praticato la stregoneria, per aver sedotto e condotto Israele verso l’apostasia. Chiunque sappia qualcosa per assolverlo venga avanti e lo esoneri’. Ma nessuno presentò nulla per esonerarlo e lo appesero alla vigilia di Pesach. Ulla disse: ‘Si deve forse pensare che dovremmo cercare delle prove che lo esonerino? Egli era un adescatore e Dio disse: Tu non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa’ (Dt 13,9). Yeshu era differente perché era intimo col governo”.[62]
Yeshu (o Yeshua) è il nome di Gesù in lingua ebraica. Perché è scritto che “fu appeso”? La risposta è che il termine “appeso” indica proprio la crocifissione. Ad esempio, nella lettera di san Paolo ai Galati (3,13) si legge che Cristo fu “appeso”; negli Atti degli Apostoli (10,39) che fu “appeso al legno”; e nel Vangelo di Luca (23,39) questo termine viene usato anche per i criminali che furono crocifissi insieme a Gesù. Tale espressione si trova pure in Giuseppe Flavio.
Il Talmud afferma, inoltre, che Gesù fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica. Ciò, è in sintonìa con il Vangelo di Matteo.[63] Il testo fa poi riferimento a un araldo che annuncia l’imminente lapidazione di Cristo. Che significa? La condanna sancita dai Giudei fu la lapidazione.[64] Pilato la mutò nella crocifissione.[65] Il passaggio spiega anche il motivo per cui Gesù era stato crocifisso. Egli praticava la “stregoneria”, e aveva condotto Israele verso l’“apostasia”. Dal momento che questa affermazione proviene da una fonte non favorevole al Cristianesimo, non desta meraviglia il fatto che questi ebrei descrivessero la situazione dal proprio punto di vista. È interessante, però, notare il parallelismo che esiste tra queste accuse e quelle rivolte dai Farisei a Gesù nel Nuovo Testamento. Quest’ultimi, infatti, vedendo le liberazioni da lui compiute, lo accusavano di scacciare i demòni “con l’aiuto di Beelzebub, principe dei demòni”.[66] Si noti che tale fatto conferma che Gesù compì realmente opere miracolose. Tali eventi, non potevano essere negati pubblicamente. Restava una sola alternativa: attribuirli alla stregoneria.
Allo stesso modo, l’accusa di aver condotto Israele verso l’apostasìa è in sintonìa con il racconto del Vangelo di Luca secondo cui i capi di Israele accusarono Gesù di stare sovvertendo la nazione con i suoi insegnamenti.[67]
L’espressione “Yeshu era differente perché era intimo col governo” rimanda alla posizione di Gesù verso l’autorità del tempo. In particolare, all’espressione: “Date a Cesare quello che è di Cesare […]”.[68]
L’edizione (inglese) del Talmud babilonese, di cui si è citato un passo, fu preparata dal rabbino Isidore Epstein (1894-1962)[69], e pubblicata in 34 volumi dalle Edizioni Soncino (Londra, 1935-1952). Questo studioso osservò, tra l’altro, che il riferimento riguardante Gesù veniva omesso nelle edizioni censurate del Sanhedrin, a conferma del fatto che molti interpreti del passato ne avevano individuato un’allusione a Gesù Cristo. Inoltre, sempre dai commenti del rabbino Epstein, si apprende che un manoscritto (denominato come “M”) riporta “Gesù Nazareno” invece che solo “Gesù”, mentre un altro manoscritto, invece della frase “egli fu appeso alla vigilia della Pasqua”, nella parte conclusiva della citazione, annota: “egli fu appeso alla vigilia del sabato della Pasqua”, concordando con il Vangelo di Giovanni.
Il Talmud babilonese è costituito da una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti (hakhamim) e i maestri (rabbi) riguardanti le applicazioni e i problemi pratici della Torah scritta. In un passo di un trattato appartenente al Talmud (il “Sanhedrin”), si fa riferimento a un personaggio chiamato Gesù. Sanhedrin è il termine che corrisponde al Sinedrio, la più alta istituzione in materia legale esistente presso gli Ebrei nel I secolo d.C. Ecco il testo: “Si insegna: alla vigilia di Pesach (Pasqua) appesero Yeshu e il banditore proclamò in giro per quaranta giorni che ‘(Yeshu) verrà lapidato per aver praticato la stregoneria, per aver sedotto e condotto Israele verso l’apostasia. Chiunque sappia qualcosa per assolverlo venga avanti e lo esoneri’. Ma nessuno presentò nulla per esonerarlo e lo appesero alla vigilia di Pesach. Ulla disse: ‘Si deve forse pensare che dovremmo cercare delle prove che lo esonerino? Egli era un adescatore e Dio disse: Tu non dargli retta, non ascoltarlo; il tuo occhio non lo compianga; non risparmiarlo, non coprire la sua colpa’ (Dt 13,9). Yeshu era differente perché era intimo col governo”.[62]
Yeshu (o Yeshua) è il nome di Gesù in lingua ebraica. Perché è scritto che “fu appeso”? La risposta è che il termine “appeso” indica proprio la crocifissione. Ad esempio, nella lettera di san Paolo ai Galati (3,13) si legge che Cristo fu “appeso”; negli Atti degli Apostoli (10,39) che fu “appeso al legno”; e nel Vangelo di Luca (23,39) questo termine viene usato anche per i criminali che furono crocifissi insieme a Gesù. Tale espressione si trova pure in Giuseppe Flavio.
Il Talmud afferma, inoltre, che Gesù fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica. Ciò, è in sintonìa con il Vangelo di Matteo.[63] Il testo fa poi riferimento a un araldo che annuncia l’imminente lapidazione di Cristo. Che significa? La condanna sancita dai Giudei fu la lapidazione.[64] Pilato la mutò nella crocifissione.[65] Il passaggio spiega anche il motivo per cui Gesù era stato crocifisso. Egli praticava la “stregoneria”, e aveva condotto Israele verso l’“apostasia”. Dal momento che questa affermazione proviene da una fonte non favorevole al Cristianesimo, non desta meraviglia il fatto che questi ebrei descrivessero la situazione dal proprio punto di vista. È interessante, però, notare il parallelismo che esiste tra queste accuse e quelle rivolte dai Farisei a Gesù nel Nuovo Testamento. Quest’ultimi, infatti, vedendo le liberazioni da lui compiute, lo accusavano di scacciare i demòni “con l’aiuto di Beelzebub, principe dei demòni”.[66] Si noti che tale fatto conferma che Gesù compì realmente opere miracolose. Tali eventi, non potevano essere negati pubblicamente. Restava una sola alternativa: attribuirli alla stregoneria.
Allo stesso modo, l’accusa di aver condotto Israele verso l’apostasìa è in sintonìa con il racconto del Vangelo di Luca secondo cui i capi di Israele accusarono Gesù di stare sovvertendo la nazione con i suoi insegnamenti.[67]
L’espressione “Yeshu era differente perché era intimo col governo” rimanda alla posizione di Gesù verso l’autorità del tempo. In particolare, all’espressione: “Date a Cesare quello che è di Cesare […]”.[68]
L’edizione (inglese) del Talmud babilonese, di cui si è citato un passo, fu preparata dal rabbino Isidore Epstein (1894-1962)[69], e pubblicata in 34 volumi dalle Edizioni Soncino (Londra, 1935-1952). Questo studioso osservò, tra l’altro, che il riferimento riguardante Gesù veniva omesso nelle edizioni censurate del Sanhedrin, a conferma del fatto che molti interpreti del passato ne avevano individuato un’allusione a Gesù Cristo. Inoltre, sempre dai commenti del rabbino Epstein, si apprende che un manoscritto (denominato come “M”) riporta “Gesù Nazareno” invece che solo “Gesù”, mentre un altro manoscritto, invece della frase “egli fu appeso alla vigilia della Pasqua”, nella parte conclusiva della citazione, annota: “egli fu appeso alla vigilia del sabato della Pasqua”, concordando con il Vangelo di Giovanni.
Annotazioni di sintesi
Tenendo conto dei dati che sono stati riportati in precedenza, possono essere evidenziati alcuni punti-chiave.
1) Agli inizi dell’èra cristiana, la vicenda di Gesù di Nazareth non interessò nessuno. Tranne i suoi discepoli. I motivi sono evidenti. La Palestina non aveva alcuna rilevanza per i Romani (lo stesso legato imperiale era dislocato in Siria). Inoltre, agli occupanti del tempo non interessavano le vicende religiose interne. Gli obblighi da far rispettare erano essenziali: pagare le tasse (da qui l’uso di censire la popolazione), e non uccidere soldati romani (in caso contrario scattava la repressione). Tale orientamento è confermato dal fatto che le vicende ebraiche erano considerate dagli imperatori solo un fastidioso problema, una delle tante seccature dell’area orientale.
La situazione precipitò con le guerre giudaiche. La prima (66-70), iniziò negli anni di Nerone, e terminò nel periodo di Vespasiano. Evento-culmine fu la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, figlio di Vespasiano. La seconda (115-117), chiamata anche “guerra di Kitos”, interessò le città della diaspora. Iniziò e si concluse negli anni di Traiano. La terza (132-135), sostenuta da Simon Bar Kokheba (abbreviato Bar Kochba), iniziò e si concluse nel periodo di Adriano.
2) In tale contesto, per un periodo non breve, il Cristianesimo fu considerato un’irrilevante espressione dell’ebraismo. Un fatto interno a quest’ultimo. Gli storici e gli analisti del tempo guardarono altrove: ai potenti e alle lotte di successione, all’espansionismo romano (con i conseguenti problemi), ai conflitti regionali e a quelli collegati a vicende dinastiche, alle correnti filosofiche (e ai confronti accesi tra esponenti di scuole diverse). La vicenda del figlio di un téktón (carpentiere), vissuto per trent’anni in un piccolo villaggio della Giudea, condannato – dopo una breve vita pubblica – a una morte infamante, riservata ai malfattori, era difficile da considerare un fatto importante. Gesù rimaneva un ebreo marginale.[70] Null’altro.
3) Conclusasi la vicenda terrena di Gesù di Nazareth, ci furono, in più fasi temporali, e in diverse aree geografiche, una serie di reazioni avverse al Cristianesimo. Queste, tra le loro conseguenze, ebbero anche quella di distruggere in modo sistematico molti siti cristiani. Fino ad arrivare a politiche che cancellarono, ad esempio, decine di diocesi africane.
Alla luce di ciò, e rimanendo sul tema della storicità di Gesù, si annotano qui di seguito alcune considerazioni.
1) Sono pochi, nell’attuale periodo, gli autori che esprimono dubbi sulla storicità di Cristo. Piuttosto, studiando la letteratura internazionale, si avverte che l’orientamento è un altro. Mentre, in precedenza, si discuteva sulla figura storica di Gesù, oggi ci si concentra piuttosto sull’analisi delle fonti che lo riguardano, o che possono comunque offrire una qualche evidenza.
2) Utilizzando anche i metodi storico critico, storico letterario e sociologico, si cerca di risalire in una certa misura al Gesù della storia e alla sua predicazione. Si tende, così, a separare i passi ritenuti privi di interpolazioni da quelli ritenuti aggiunte successive. L’applicazione di questi criteri, i quali hanno un valore diverso tra loro, non è assolutamente meccanica, ma tiene conto di diversi fattori e gradi di probabilità. Essi, inoltre, vengono utilizzati in modo convergente: cum plurima cuncurrunt, maiora sunt indicia.
3) L’argomento “Gesù”, sembra non essere più, almeno in vari ambienti scientifici, un tema-tabù. Da evitare. Sono ormai diversi gli Ebrei e i Musulmani che partecipano oggi a incontri inter-confessionali su Cristo, di cui non hanno difficoltà a riconoscerne la storicità. Nel marzo del 2015 la televisione nazionale cinese (CCT, Central Chinese Television) ha mandato in onda un documentario di tre quarti d’ora su Gesù, presentato come “l’uomo che ha cambiato la storia del genere umano”.[71]
1) Agli inizi dell’èra cristiana, la vicenda di Gesù di Nazareth non interessò nessuno. Tranne i suoi discepoli. I motivi sono evidenti. La Palestina non aveva alcuna rilevanza per i Romani (lo stesso legato imperiale era dislocato in Siria). Inoltre, agli occupanti del tempo non interessavano le vicende religiose interne. Gli obblighi da far rispettare erano essenziali: pagare le tasse (da qui l’uso di censire la popolazione), e non uccidere soldati romani (in caso contrario scattava la repressione). Tale orientamento è confermato dal fatto che le vicende ebraiche erano considerate dagli imperatori solo un fastidioso problema, una delle tante seccature dell’area orientale.
La situazione precipitò con le guerre giudaiche. La prima (66-70), iniziò negli anni di Nerone, e terminò nel periodo di Vespasiano. Evento-culmine fu la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, figlio di Vespasiano. La seconda (115-117), chiamata anche “guerra di Kitos”, interessò le città della diaspora. Iniziò e si concluse negli anni di Traiano. La terza (132-135), sostenuta da Simon Bar Kokheba (abbreviato Bar Kochba), iniziò e si concluse nel periodo di Adriano.
2) In tale contesto, per un periodo non breve, il Cristianesimo fu considerato un’irrilevante espressione dell’ebraismo. Un fatto interno a quest’ultimo. Gli storici e gli analisti del tempo guardarono altrove: ai potenti e alle lotte di successione, all’espansionismo romano (con i conseguenti problemi), ai conflitti regionali e a quelli collegati a vicende dinastiche, alle correnti filosofiche (e ai confronti accesi tra esponenti di scuole diverse). La vicenda del figlio di un téktón (carpentiere), vissuto per trent’anni in un piccolo villaggio della Giudea, condannato – dopo una breve vita pubblica – a una morte infamante, riservata ai malfattori, era difficile da considerare un fatto importante. Gesù rimaneva un ebreo marginale.[70] Null’altro.
3) Conclusasi la vicenda terrena di Gesù di Nazareth, ci furono, in più fasi temporali, e in diverse aree geografiche, una serie di reazioni avverse al Cristianesimo. Queste, tra le loro conseguenze, ebbero anche quella di distruggere in modo sistematico molti siti cristiani. Fino ad arrivare a politiche che cancellarono, ad esempio, decine di diocesi africane.
Alla luce di ciò, e rimanendo sul tema della storicità di Gesù, si annotano qui di seguito alcune considerazioni.
1) Sono pochi, nell’attuale periodo, gli autori che esprimono dubbi sulla storicità di Cristo. Piuttosto, studiando la letteratura internazionale, si avverte che l’orientamento è un altro. Mentre, in precedenza, si discuteva sulla figura storica di Gesù, oggi ci si concentra piuttosto sull’analisi delle fonti che lo riguardano, o che possono comunque offrire una qualche evidenza.
2) Utilizzando anche i metodi storico critico, storico letterario e sociologico, si cerca di risalire in una certa misura al Gesù della storia e alla sua predicazione. Si tende, così, a separare i passi ritenuti privi di interpolazioni da quelli ritenuti aggiunte successive. L’applicazione di questi criteri, i quali hanno un valore diverso tra loro, non è assolutamente meccanica, ma tiene conto di diversi fattori e gradi di probabilità. Essi, inoltre, vengono utilizzati in modo convergente: cum plurima cuncurrunt, maiora sunt indicia.
3) L’argomento “Gesù”, sembra non essere più, almeno in vari ambienti scientifici, un tema-tabù. Da evitare. Sono ormai diversi gli Ebrei e i Musulmani che partecipano oggi a incontri inter-confessionali su Cristo, di cui non hanno difficoltà a riconoscerne la storicità. Nel marzo del 2015 la televisione nazionale cinese (CCT, Central Chinese Television) ha mandato in onda un documentario di tre quarti d’ora su Gesù, presentato come “l’uomo che ha cambiato la storia del genere umano”.[71]
Note
[1] Cfr. anche: http://www.gliscritti.it/blog/entry/916
[2]
Il testo è scritto con grafia irregolare; utilizza infatti
contemporaneamente lettere maiuscole e minuscole senza uso di accenti.
[3] La dinastia dei Severi regnò tra la fine del II° e i primi decenni del III° sec. (193-235), con una breve interruzione durante il regno di Macrino (217-218).
[4] B. Hudson MacLean, An
introduction to greek epigraphy of the hellenistic and roman periods
from Alexander the Great down to the reign of Constantine, University of Michigan Press, 2002, p. 208.
[5] Docente presso l’Università ebraica di Gerusalemme.
[6]
Nel luogo dell’ossario furono trovati 13 vasi e una lampada ad olio.
Questi reperti sono stati decisivi per datare la tomba al I sec. d.C..
[7] Mc 15,21. Cfr. anche: T. Powers, Treasures in the storeroom family tomb of Simon of Cyrene, in “Biblical Archaeology Society Review”, July-August 2003.
[8] B. Bagatti, Gli scavi di Nazaret: dalle origini al secolo XII, vol. I, Studium Biblicum Franciscanum Tip. dei Padri Francescani, Gerusalemme 1967.
[9]
Non si conosce la data di nascita di Ponzio Pilato. Fu prefetto della
Giudea tra il 26 e il 36. È citato in tutti e quattro i Vangeli
canonici. Le sue vicende sono note anche dai resoconti di due autori
ebrei del tempo: Flavio Giuseppe e Filone di Alessandria.. Un breve cenno è presente in Tacito. La data di morte non è nota.
[10] Gv 19,16.
[11] Fu imperatore dal 14 al 37. I cristiani non furono perseguitati durante gli anni di Tiberio. Quest’ultimo, attraverso il suo legato in Siria (Lucio Vitellio), fece pure destituire il sommo sacerdote Caifa. Ciò avvenne nel 36 (o 37), cioè subito dopo l’esecuzione, ritenuta illegale, del diacono Stefano su iniziativa di Caifa, e solo un anno dopo una presunta relazione di Pilato a Tiberio (35) riguardante Cristo.
[12] Nel 13 a.C. divenne la capitale politica e militare della Giudea. Vi risiedeva il procuratore (e governatore) romano.
[13] V. Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino 1979, pp. 232-233.
[14] Cfr. anche: http://www.santosepolcro.custodia.org/default.asp?id=3962
[15] Publio Elio Traiano Adriano, noto come Adriano (76-138).
[16] Si tratta di un collegamento con il salmo 122,1: “In domum Domini ibimus” (Andremo alla casa del Signore).
[17] Mt 27, 52.
[18] Circa 30 km a ovest di Gerusalemme.
[19] Erode Ascalonita (73 a.C.- 4 a.C.), detto il Grande. Nato, forse, ad Ashkelon. Fu re della Giudea dal 37 a.C. fino alla morte.
[20] Mt 2,16.
[21] Gv 9,7.
[22] http://www.antiquities.org.il/Article_eng.aspx?sec_id=25&subj_id=240&id=1638&hist=1
[23] http://www.biblicalarchaeology.org/daily/biblical-sites-places/biblical-archaeology-sites/tomb-of-apostle-philip-found/
[24] Il suo nome ebraico era Joseph Ben Matityahu (Giuseppe figlio di Mattia).
[25] Fu imperatore romano dal 69 al 79. Fondatore della dinastia Flavia.
[26] Fu imperatore romano dal 79 all’81.
[27] G. Flavio, Antichità giudaiche, XX, 200.
[28] Id., Antichità giudaiche, XVIII, 116-119.
[29] https://en.wikipedia.org/wiki/Shlomo_Pines
[30] G. Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 63-64.
[31] Fu imperatore dal 54 al 68.
[32] Tacito, Annali, XV, 44. Pilato univa nella sua persona l’incarico politico (prefetto) e quello amministrativo (procuratore).
[33] Venne detto Plinio il Giovane per distinguerlo dall’omonimo zio Plinio il Vecchio (23-79; scrittore, ammiraglio e naturalista romano).
[34] Oratore e maestro di eloquenza.
[35] Fu imperatore dal 98 al 117.
[36] Plinio il Giovane, Epistole, trad. di W. Melmoth, revis. di W.M. Lambart Hutchinson, vol. II, X, 96.
[37] Id., op. cit., Epistole, vol. II, X, 96.
[38] M. Harris, References to Jesus in early classical authors, in “Gospel Perspectives: The Jesus Tradition Outside the Gospels”, vol. 5. Ed. David Wenham. Wipf and Stock, 2004 (1984).
[39] Gv 1,14.
[40] J. Habermas, The historical Jesus. Ancient Evidence for the Life of Christ, 1996
[41] F. Fyvie Bruce, Jesus and Christian origins outside the New Testament, Hodder and Stoughton, 1974.
[42] Verso i cristiani si mostrò più tollerante dei predecessori. Ne rimane testimonianza (122 circa) un rescritto indirizzato a Gaio Minucio Fundano, proconsole della provincia d’Asia. Nel testo, l’imperatore, a cui era stato richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani e delle accuse a loro rivolte, rispose di procedere solo in ordine a notizie circostanziate emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche. Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, IV, 9, 1-3.
[43] Svetonio, Epistole, X, 96.
[44] Svetonio, Vita Claudii, XXIII, 4.
[45] At 13,44ss.
[46] At 18, 1-2.
[47] Svetonio, Vita Neronis, XVI, 2.
[48] Oratore, maestro di eloquenza.
[49] Lo scettico è colui che nega la possibilità di conoscere la verità.
[50] Luciano di Samosata, De morte Peregrini, XI-XIII, trad. H. Watson Fowler.
[51] Marco Aurelio, Colloqui con se stesso, testo greco a fronte, a cura di N. Gardini, Medusa Edizioni, Milano 2005.
[52] Marco Aurelio, A se stesso, XI, 3.
[53] Anche negli anni di Marco Aurelio si registrarono persecuzioni. Tra i martiri, san Giustino e discepoli.
[54] Marco Minucio Felice, Octavius, VIII, 4-IX, 7.
[55] Il Cinismo fu una scuola filosofica fondata da Antistene e Diogene di Sinope nel IV secolo a.C. I cinici erano dediti a una vita errante e autonoma, indifferente ai bisogni e alle passioni, fedeli solo al rigore morale. Dopo un periodo di minore influsso, la scuola cinica si rafforzò in concomitanza alla corruzione del potere imperiale di Roma. Si fece, allora, appello alla libertà interiore e all’austerità dei costumi.
[56] Giustino, II Apologia, VIII.
[57] Origène, Contra Celsum, I, 32.
[58] Id., Contra Celsum, I, 28.
[59] Id., Contra Celsum, I, 62.
[60] Ne esistono due redazioni diverse per contenuto, metodo e lingua: il Talmud di Gerusalemme (Talmud Yerushalmi, TY), terminato verso la fine del IV secolo, ed il Talmud babilonese (Talmud Bavli, TB), di un secolo più tardi. Le circostanze storiche spiegano come il TB abbia presto eclissato il suo corrispondente definito di Gerusalemme e sia stato considerato come il solo canonico e normativo.
[61] I primi cinque libri della Bibbia.
[62] Talmud babilonese, trad. I. Epstein, vol. III°, 43a/281; cfr. ‘Sanhedrin’ B,43b.
[63] Mt 26,2; 27,15.
[64] Gv 8,58; 10,31; 11,8.
[65] Gv 18, 31-32.
[66] Mt 12,24.
[67] Lc 23, 2-5-
[68] Cfr. Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25.
[69] https://en.wikipedia.org/wiki/Isidore_Epstein
[70] J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, 4 voll., Queriniana, Brescia, I vol. (2006), 2 vol. (2003), 3 vol. (2007), 4 vol. (2009).
Per saperne di più
AA.VV., Il Gesù storico nelle fonti del I-II secolo, atti del X convegno di studi neotestamentari (Foligno, 11-13 settembre 2003), a cura di A. Pitta, in “Ricerche storico-bibliche”, XVII/2, Edizioni Dehoniane, Bologna 2005.
Barbaglio G., Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, Edizioni Dehoniane, Bologna 2002. Cfr. cap. I, “Storia della ricerca: stagioni, tendenze, risultati”, pp. 17-36.
Basetti Sani G., Gesù Cristo nascosto nel Corano, Gabrielli Editori, Milano 1994.
Benedetto XVI, Pontefice (Joseph Ratzinger), Gesù di Nazaret, Mondadori, Milano 2007.
Jaffé D., Il Talmud e le origini ebraiche del cristianesimo, Jaca Book, Milano 2008.
Penna R., Gesù di Nazareth nelle culture del suo tempo. Alcuni aspetti del Gesù storico, Edizioni Dehoniane, Bologna 2012.
Id., I ritratti originali di Gesù Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria, San Paolo Cinisello B. 2011.
Gronchi M., Jesus Christ, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2013.
Pesce M.-Desto A., L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita, Mondadori, Milano 2008.
Segalla G., La ricerca del Gesù storico, Queriniana, Brescia 2010.
Barbaglio G., Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, Edizioni Dehoniane, Bologna 2002. Cfr. cap. I, “Storia della ricerca: stagioni, tendenze, risultati”, pp. 17-36.
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Pesce M.-Desto A., L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita, Mondadori, Milano 2008.
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