I. L'ignoranza della religione causa precipua dell'odierno
rilassamento.
In troppo ingrati e difficili
tempi le disposizioni arcane della provvidenza divina hanno sollevato la Nostra
pochezza all'officio di Pastore supremo dell'universo gregge di Gesù Cristo.
L'uomo inimico già da lunga stagione si aggira intorno a questo gregge, e lo va
così insidiando con sottilissima astuzia, che or più che mai sembra verificato
ciò che l'Apostolo prediceva ai maggiorenti della Chiesa di Efeso: «"Io so
che entreranno fra voi lupi rapaci che non perdoneranno all'ovile"» (Act.
XX, 29). Del quale religioso decadimento coloro, che nutrono tuttora zelo della
gloria di Dio, vanno indagando le ragioni e le cause; e mentre altri altre ne
assegnano, conforme all'opinar di ciascuno, diverse son le vie che seguono per
tutelare e ristabilire il regno di Dio sulla terra. A Noi, Venerabili fratelli,
checché sia di altre cagioni, sembra di preferenza dover convenire con coloro
che la radice precipua dell'odierno rilassamento e quasi insensibilità degli
animi e dei gravissimi mali che quindi si derivano, ripongono nell'ignoranza
delle cose divine. Il che risponde pienamente a quello che Dio stesso affermò
pel profeta Osea: «"... E non è scienza di Dio sulla terra. La
maledizione, la menzogna, e l'omicidio, e il furto, e l'adulterio dilagarono, e
il sangue toccò il sangue. Perciò piangerà la terra e verrà meno chiunque abita
in essa"» (Os. IV, 1 ss.).
II. L'ignoranza della religione quanto comune ai nostri tempi.
E che infatti fra i cristiani dei
nostri giorni sieno moltissimi quelli i quali vivono in una estrema ignoranza
delle cose necessarie a sapersi per la eterna salute, è lamento oggimai comune,
e purtroppo! lamento giustissimo. E quando diciamo fra i cristiani, non
intendiamo solamente della plebe o di persone di ceto inferiore, scusabili
talvolta, perché, soggetti al comando d' inumani padroni, appena è che abbian
agio di pensare a sè ed ai propri vantaggi: ma altresì e sopratutto di coloro,
che pur non mancando d'ingegno e di coltura, mentre delle profane cose sono
conoscentissinìi, vivono spensierati e come a caso in ordine alla religione.
Può dirsi appena di quali profonde tenebre questi tali sien circondati; e ciò
che più accuora, tranquillamente vi si mantengono! Niun pensiero quasi sorge
loro di Dio autore e moderatore dell'universo e di quanto insegna la Fede
cristiana. E conseguentemente, sono cose affatto ignote per essi e
l'Incarnazione del Verbo di Dio, e l'opera di redenzione dell'uman genere da
lui compiuta; e la Grazia che è pur il mezzo precipuo pel conseguimento dei
beni eterni, e il santo Sacrificio e i Sacramenti, pei quali la detta grazia si
acquista e conserva. Nulla poi apprezzano la malizia e turpitudine del peccato,
e quindi non hanno affatto pensiero di evitarlo o di liberarsene; e così si
giunge al giorno supremo, talché il ministro di Dio, acciò non manchi una
qualche speranza di salute, è costretto ad usare dei momenti estremi, che
dovrebbero tutti impiegarsi nel fomentare la carità verso Dio, nel dare una
sommaria istruzione delle cose indispensabili a salute; se pure, ciò che sovente
interviene, l'infermo non sia talmente schiavo di colpevole ignoranza, da
credere superflua l'opera del sacerdote, e senza riconciliarsi con Dio,
affronti tranquillo il viaggio tremendo dell'eternità. Onde è che il Nostro
predecessore Benedetto XIV giustamente scrisse: «"Questo asseveriamo, che
la maggior parte di coloro, che san dannati agli eterni supplizi, incontrano
quella perpetua sventura per ignoranza dei misteri della fede, che
necessariamente si debbono sapere e credere per essere ascritti fra gli
eletti"» (Instit. XXVI, 18).
III. Dall'ignoranza della religione è da ripetersi l'odierna corruttela
dei costumi.
Ciò posto, Venerabili Fratelli,
qual meraviglia che si veda oggi nel mondo, e non già diciamo fra i barbari, ma
in mezzo alle nazioni cristiane, e cresca ogni giorno più la corruttela dei
costumi e la depravazione delle abitudini? Intimava l'Apostolo scrivendo agli
Efesii: «"La fornicazione poi ed ogni immondezza, o l'avarizia, neppur si
nomini fra voi, come si addice ai santi: o la turpitudine, o lo
stoltiloquio"» (Ephes. V, 3 s.).
Ma egli a fondamento di questa
santità e del pudore, che infrena le passioni, poneva la sapienza
soprannaturale: «"Guardate dunque, o fratelli, come dobbiate camminar
cautamente non quasi stolti, ma come sapienti. Perciò non vogliate essere
spensierati, ma intendete bene quale sia la volontà di Dio"» (Ibid. 15
ss.).
E ciò con ragione. Infatti la
volontà umana conserva appena alcun che di quell'amore dell'onesto e del retto,
che Dio creatore le infuse e che quasi la trascinava al bene non apparente ma
verace. Depravata per la corruzione della colpa primiera, e pressoché dimentica
di Dio, suo autore, gli affetti suoi rivolge quasi tutti all'amore della vanità
e alla ricerca del mendacio. - Fa quindi mestieri a questa volontà fuorviata ed
accecata dalle perverse passioni, assegnare una guida, che la scorga perché
torni sui male abbandonati sentieri della giustizia. E la guida, non
liberamente scelta, ma destinata dalla natura è l'intelletto appunto. Il quale,
pertanto, se manchi di vera luce, cioè della cognizione delle cose divine, sarà
come un cieco che presti il braccio ad altro cieco, e cadranno entrambi nella
fossa. Il santo Davide, lodando Iddio della luce di verità da lui riverberata
sulle nostre menti, diceva: «"Signore, il lume del volto tuo è segnato
sopra di noi"» (Ps. IV, 7).
E la conseguenza di questa luce
indicò qual fosse, aggiungendo: «"Hai infuso allegrezza nel mio
cuore"»; quell'allegrezza cioè che dilatandoci il cuore, fa che corra la
via dei divini comandamenti.
IV. La conoscenza delle cose religiose non è soltanto lume
all'intelletto, ma guida e stimolo della volontà.
E che sia difatto così, apparisce
manifesto a chi per poco rifletta. Imperocché la dottrina di Gesù Cristo ci
disvela Iddio e le infinite perfezioni di lui con assai maggior chiarezza che
non lo manifesti il lume naturale dell'umano intelletto. Ma poi? quella stessa
dottrina ci impone di onorare Dio con la fede, che è ossequio della mente;
colla speranza che è ossequio della volontà; colla carità che è ossequio del
cuore; e per tal guisa lega tutto l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e
Moderatore. Parimente la dottrina di Cristo è la sola che ci manifesti la vera
ed altissima dignità dell'uomo, additandocelo come figlio del Padre celeste che
è nei cieli, fatto ad immagine di lui e destinato a vivere con lui eternamente
beato. Ma da questa stessa dignità e dalla cognizione della medesima Cristo
deduce l'obbligo per gli uomini di amor vicendevole come fratelli ch'ei sono,
prescrive loro di vivere quaggiù come si avviene a figliuoli della luce
«"non in bagordi ed ubbriachezze, non in mollezze ed impudicizie, non in
risse ed invidie"» (Rom. XIII, 13); li obbliga inoltre a riporre in Dio
ogni sollecitudine giacché egli ha cura di noi; comanda di stendere la mano
soccorritrice al povero, di far bene a quei che ci fan male, di anteporre i
vantaggi eterni dell'anima ai beni fugaci del tempo. E per non discendere in
tutto al particolare, non è la dottrina di Gesù Cristo che all'uomo, il quale
vive di orgoglio, ispira ed impone l'umiltà, origine di gloria verace?
«"Chiunque si umilierà... questi è il più grande nel regno dei
cieli"» (Matth., XVIII, 4). Dalla stessa dottrina apprendiamo la prudenza
dello spirito, per cui fuggiamo la prudenza della carne: la giustizia, per cui
rendiamo il suo diritto ad ognuno; la fortezza che ci fa pronti a patir tutto,
e colla quale, con animo generoso, patiamo di fatto ogni cosa per Iddio e per
l'eterna felicità; e finalmente la temperanza, con cui giungiamo ad amare
financo la povertà, ci gloriamo anzi della croce, non curando il disprezzo. Sta
insomma che la scienza del cristianesimo non è solo fonte di luce
all'intelletto per la consecuzione del vero, ma fonte eziandio di calore alla
volontà, con cui ci solleviamo a Dio e con lui ci uniamo per la pratica delle
virtù.
Con ciò siamo ben lungi dal dire
che, anche colla scienza della religione, non possa unirsi volontà perversa e
sregolatezza di costume. Piacesse a Dio che nol provassero anche troppo i fatti!
Sosteniamo però che non potrà mai esser retta la volontà né buono il costume,
qualora l'intelletto sia schiavo di crassa ignoranza. Chi ad occhi aperti
procede, può certamente uscire dal retto sentiero: ma chi è colto da cecità, è
sicuro di andare incontro al pericolo.
Aggiungasi di più che la
perversità del costume, ove non sia del tutto estinto il lume della fede,
lascia sempre a sperare un ravvedimento; laddove, se alla corruzione del
costume si congiunge per effetto dell'ignoranza, la mancanza della fede, il
male appena ammette rimedio, ed è aperta la via all'eterna rovina.
V. A chi spetti l'obbligo dell'insegnamento religioso.
Tanti adunque e sì gravi essendo
i danni provenienti dalla ignoranza delle cose di religione; e tanta, da altra
parte, essendo la necessità e l'utilità dell'istruzione religiosa, giacché non
potrà mai adempiere i doveri del cristiano chi non li conosca; resta a cercare,
a chi poi si spetti di eliminare dagli animi sifatta ignoranza, e chi abbia il
dovere di comunicare alle anime una scienza così necessaria. - E qui,
Venerabili Fratelli, non vi ha punto luogo a dubitazioni; giacché questo
gravissimo dovere incombe a quanti sono Pastori di anime. Ad essi, per
comandamento di Cristo, è imposto di conoscere e di pascere le pecorelle
affidate; ora il pascere importa in primo luogo l'insegnare: «"Io vi
darò"», così Dio prometteva per Geremia, «"pastori secondo il cuor
mio, e vi pasceranno colla scienza e colla dottrina"» (Ier. III, 15). Per
la qual cosa l'Apostolo San Paolo diceva: «"Non mi ha Cristo mandato per
battezzare, ma per evangelizzare"» (I Cor. I, 17); volendo cioè indicare,
che il primo officio di quanti, in qualche misura, sono posti a reggere la
Chiesa, è di istruire nella sacra dottrina i fedeli.
VI. Encomio delle insegnamento del catechismo.
Della quale istruzione ci sembra
non necessario dir qui le lodi, e mostrare di quanto merito sia al cospetto di
Dio.
Certo l'elemosina, con cui
solleviamo le angustie dei poverelli, è dal Signore altamente encomiata. Ma chi
vorrà negare che encomio di gran lunga maggiore si debba allo zelo ed alla
fatica, onde si procacciano, non già passeggeri vantaggi ai corpi, ma,
coll'insegnare ed ammonire, eterni beni alle anime? Nulla per verità è più
desiderato e caro a Gesù Cristo salvatore delle anime; il quale, per bocca di
Isaia, volle di sé affermare: «"Io sono stato mandato per evangelizzare i
poveri"» (Luc. IV, 18).
VII. Ogni sacerdote ha il dovere di ammaestrare i fedeli.
Ma, pel presente scopo, meglio è
soffermarci ad un punto, e su di esso insistere, non esservi cioè per chiunque
sia sacerdote né dovere più grave, né più stretto obbligo di questo. E per
fermo chi è il quale nieghi nel sacerdote alla santità della vita debba andare
congiunta la scienza? «"Le labbra del sacerdote custodiranno la
scienza"» (Malach. II, 7).
E la Chiesa infatti
severissimamente la richiede in coloro, che devono essere assunti al ministero
sacerdotale. E perché mai? perché da loro aspetta il popolo cristiano di
conoscere la legge divina, e sono essi perciò mandati da Dio: «"E
ricercheranno la legge dalla bocca di lui, perché egli è l'angelo del Signore
degli eserciti"» (Ibid.). Per la qual cosa il Vescovo, nella sacra
ordinazione, parlando agli ordinandi, dice loro: «"Sia la vostra dottrina
spirituale medicina al popolo di Dio: sieno provvidi cooperatori dell'ordine
nostro; affinché meditando giorno e notte nella sua legge, credano quello che
avranno letto, ed insegnino ciò che avranno creduto"» (Pontif. Rom.).
VIII. Obbligo specialissimo e quasi particolare che ne hanno i parrochi.
Che se ciò vale di qualsiasi
sacerdote, che dovrà poi pensarsi di coloro, che insigniti del titolo e
dell'autorità di parrochi, in forza del loro grado e quasi per contratto, hanno
officio di reggitori delle anime? Essi, in certa misura, sono da annoverarsi
fra i pastori e dottori che Cristo assegnò, affinché i fedeli non sieno a guisa
di pargoli fluttuanti e non sieno, per nequizia degli uomini, aggirati da ogni
vento di dottrina; «"ma operando la verità nella carità, crescano per ogni
cosa in colui, che è il capo, Cristo"» (Ephes. IV, 14, 15).
Per la qual cosa il sacrosanto
Concilio di Trento (Sess. V, cap. 2 de ref.; Sess. XXII, cap. 8; Sess. XXIV,
cap. 4 et 7 de ref.), trattando dei pastori delle anime, pone per loro primo e
massimo dovere l'istruzione dei fedeli. Quindi ordina ai medesimi che almeno
nelle domeniche e nelle feste più solenni parlino al popolo delle verità
religiose, e quotidianamente, o almeno tre volte per settimana, facciano altrettanto
nei sacri tempi dell'Avvento e della Quaresima. Non basta: aggiunge inoltre
essere tenuti i parrochi, almeno nelle domeniche e nei giorni festivi, ad
istruire, o per sé, o per mezzo di altri, nei principi della fede e
nell'obbedienza a Dio ed ai genitori i fanciulli (Ibid. cap. 7).
E quando poi debbono
amministrarsi i sacramenti, prescrive che si spieghi, secondo l'intelligenza di
quelli che stanno per riceverli, ed in lingua volgare, la virtù dei medesimi.
IX. La spiegazione del Vangelo ed il catechismo sono due obblighi
distinti del parroco.
Le quali prescrizioni del
sacrosanto Concilio il Nostro predecessore Benedetto XIV, nella sua
Costituzione Etsi minime, riassume e meglio determinò colle seguenti parole:
«"Due specialmente sono gli obblighi che dal Sinodo Tridentino furono
imposti a chi ha cura delle anime: l'uno che nei giorni festivi parlino al
popolo delle cose divine; l'altro che istruiscano nei rudimenti della legge di
Dio e della fede i fanciulli ed i rozzi"». E giustamente quel sapientissimo
Pontefice distingue questo doppio dovere, del sermone cioè, che volgarmente
chiamano spiegazione del Vangelo, e del catechismo. Imperocché forse non
mancano di coloro, che a diminuir fatica, si persuadano che la spiegazione del
Vangelo possa tener luogo dell'istruzione catechistica. Il qual giudizio ognun
vede quanto sia errato. Imperocché il discorso, che si fa sul Vangelo, si
rivolge a coloro che si suppongono istruiti nei rudimenti della fede. È il
pane, per dir così, che si spezza a chi è già adulto. È istruzione catechistica
invece è quel latte, cui l'Apostolo S. Pietro voleva che desiderassero con
semplicità i fedeli quasi fanciulli testé generati. Questo infatti e non altro
è il compito del catechista, tôrre a trattare una verità o di fede o di morale
cristiana e spiegarla in ogni sua parte; e poiché il fine dell'insegnare è
sempre la riforma della vita, è d'uopo ch'ei faccia un confronto fra quello che
da noi esige il Signore, e quello che difatto si opera; quindi per mezzo di
esempî opportuni, tratti sapientemente dalle Sante Scritture o dalla Storia
ecclesiastica o dagli atti dei Santi, persuadere e quasi mostrare a dito come
debbansi conformare i costumi; e conchiudere in fine con esortazione efficace,
affinché gli uditori si muovano a detestazione e fuga del vizio e all'
esercizio della virtù.
X. Nobiltà dell'officio di catechista.
Sappiamo che l'officio di
catechista da molti non è ben visto, perché comunemente non è stimato gran
fatto ed è poco acconcio ad accattarsi plauso. Ma questo, a Nostro avviso, è un
giudizio nato da leggerezza e non da verità. Noi senza dubbio ammettiamo che
siano degni di lode quei sacri oratori, che si dedicano con sincero zelo della
gloria di Dio sia alla difesa ed al mantenimento della fede, sia all'encomio
degli eroi del cristianesimo. Ma la fatica di costoro ne suppone un'altra,
quella cioè dei catechisti; la quale ove manchi, mancano i fondamenti, e
faticano indarno coloro che edificano la casa. Troppo spesso i fioriti sermoni
che riscuotono il plauso degli affollati uditori, riescono semplicemente ad
accarezzar gli orecchi; non commuovono affatto gli animi. Per lo contrario
l'istruzione catechistica benché piana e semplice, è quella parola, di cui Dio
stesso dice in Isaia: «"Come scende la pioggia e la neve dal cielo, e là
più non torna, ma innebria la terra, e la penetra, e la fa germinare, e dà
semenza al seminatore, e pane al famelico, così sarà la mia parola che uscirà
dalla mia bocca: non tornerà a me vuota, ma opererà quanto io volli, e sarà
prosperata nelle cose per le quali io l'ho mandata"» (Is. LV, 10, 11).
Similmente pensiamo doversi dire di tutti quei sacerdoti, i quali ad illustrare
le verità religiose, compongono libri di gran fatica; degni perciò di essere
assai commendati. Ma quanti sono poi coloro che leggono siffatti volumi e ne
traggono frutto rispondente ai sudori ed alla brama di chi li scrisse? Laddove
l'insegnamento del catechismo, se si faccia a dovere, non è mai che non rechi
vantaggio a chi ascolti.
XI. Si deplora di nuovo la universale ignoranza delle cose religiose.
Giacché, giova ripeterlo per
eccitare lo zelo dei ministri del santuario, troppi sono adesso coloro, ed ogni
dì ne cresce il numero, i quali ignorano affatto le verità religiose o di Dio e
della fede cristiana hanno soltanto quella scienza la quale permette loro di
vivere a mo' d'idolatri in mezzo alla luce stessa del cristianesimo. Quanti
sono, né già soli giovanetti, ma adulti ancora e vecchi cadenti, i quali
ignorano affatto i principali misteri della fede; i quali udito il nome di
Cristo rispondano: «"Chi é... perché debba credere in lui"?» (Ioan.
IX, 36). In conseguenza di ciò non si recano punto a coscienza eccitare e
nutrire odî contro del prossimo, fare ingiustissimi contratti, darsi a
disoneste speculazioni, imposessarsi dell'altrui con ingenti usure, e simili
malvagità. Di più, ignorano come la legge di Cristo, non solo proscrive le
turpi azioni ma condanni altresì il pensarle avvertentemente e desiderarle; e
rattenuti forse da un motivo qualsiasi dall'abbandonarsi ai sensuali diletti,
si pascono, senza scrupolo di sorta, di pessime cogitazioni; moltiplicando i
peccati più che i capelli del capo. Né di questo genere, torniamo anche a
dirlo, si trovano solamente fra i poveri figli del popolo o nelle campagne, ma
altresì e forse in numero maggiore fra le persone di ceti più elevati e pur fra
coloro cui gonfia la scienza, e che poggiati su d'una vana erudizione, credono
di poter prendere in ridicolo la religione e «"bestemmiano quello che
ignorano"» (Iud. 10).
XII. La fede infusa nel battesimo ha bisogno di coltura.
Or se è vano aspettare raccolta
da una terra, in cui non sia stata deposta la semenza, in qual modo potranno
sperarsi più costumate generazioni, se non siano istruite per tempo nella
dottrina di Gesù Cristo? Dal che segue, che, languendo ai dì nostri ed essendo
in molti quasi svanita la fede, convien conchiudere adempiersi assai
superficialmente, se non anche del tutto trascurarsi, il dovere
dell'insegnamento del catechismo. Né vale, per iscusarsi, il dire che la fede è
un dono gratuito comunicato a ciacuno nel santo Battesimo. Sì, tutti i
battezzati in Cristo hanno infuso l'abito della fede: ma questo germe
divinissimo, non «"si sviluppa né mette ampî rami"» (Marc. IV, 32)
abbandonato a se stesso e quasi per virtù nativa. Anche l'uomo, nascendo, porta
in sé la facoltà d'intendere; pure ha bisogno della parola della madre, che
quasi la risvegli e la faccia, come dicesi, uscire in atto. Non altrimenti il
cristiano, rinascendo per l'acqua e lo Spirito Santo, porta in sé la fede; ma
gli è mestieri della parola della Chiesa che la fecondi, la sviluppi e la
faccia fruttificare. Perciò scriveva l'Apostolo: «"La Fede è dall'udito,
l'udito poi per la parola di Dio"» (Rom. X, 17) e per mostrare la
necessità dell'insegnamento, aggiunge: «"Come udiranno, se non vi sia chi
predichi?"» (Ibid. 14).
XIII. Si determina e si impone quel che ogni parroco deve fare per l'ammaestramento
dei fedeli nelle cose religiose.
Che se dalle cose premesse
apparisce manifesta la somma importanza dell'insegnamento religioso; somma
altresì deve essere la Nostra sollecitudine perché l'insegnamento del
Catechismo, che Benedetto XIV disse: «"la più utile istituzione per la
gloria di Dio e la salute delle anime"» (Constit. Etsi minime, 13), si
mantenga sempre in vigore, e dove per caso si trascuri, torni a fiorire.
Volendo pertanto, o Venerabili Fratelli, adempiere questo gravissimo dovere
impostoci dal supremo apostolato, ed introdurre da per tutto uniformità in
questa rilevantissima materia, colla Nostra suprema autorità stabiliamo e
strettamente ordiniamo che in tutte le diocesi si osservi ed adempia a quanto
segue:
Tutti i parrochi, ed in generale tutti
coloro che hanno cura d'anime, in tutte le domeniche e feste dell'anno, senza
eccezione alcuna, col testo del Catechismo ammaestrino, per lo spazio di
un'ora, i fanciulli e le fanciulle in ciò che ognuno dee credere ed operare per
salvarsi.
I medesimi, in determinati tempi dell'anno,
con una istruzione continuata di più giorni, preparino i fanciulli e le
fanciulle a ricevere i Sacramenti della Penitenza e della Confermazione.
Similmente e con cura speciale, in tutti i
giorni feriali della Quaresima e, se fosse necessario, in altri giorni dopo le
feste Pasquali, preparino, con opportune istruzioni e riflessioni, i giovanetti
e le giovanette a fare santamente la prima Comunione.
In tutte e singole le parrocchie si eriga
canonicamente la Congregazione della Dottrina Cristiana. Colla quale i
parrochi, specialmente nei luoghi ove sia scarsezza di sacerdoti, avranno per l'insegnamento
del Catechismo validi coadiutori nelle pie persone secolari, che contribuiranno
a questa opera salutare e santa si per zelo della gloria di Dio e sì per
lucrare le moltissime indulgenze concesse dai Sommi Pontifici.
Nelle città maggiori, specialmente in
quelle ove sono Università, Licei, Ginnasi, si istituiscano Scuole di
Religione, destinate ad istruire nelle verità della fede e nella pratica della
vita cristiana la gioventù che frequenta le pubbliche scuole, dalle quali è
bandito ogni insegnamento religioso.
Considerando poi, che, segnatamente in
questi tempi, anche gli adulti non meno dei fanciulli hanno bisogno della
istruzione religiosa; tutti i Parrochi ed ogni altro avente cura di anime,
oltre la consueta omilia sul Vangelo, che deve esser fatta nella messa
parrocchiale in tutti i giorni festivi, spiegheranno il catechismo ai fedeli in
modo facile e acconcio alla intelligenza degli uditori, in quell'ora che
ciascun stimerà più opportuna per la frequenza del popolo, fuori però del tempo
in cui si ammaestrano i fanciulli. Nel che dovranno fare uso del Catechismo
Tridentino; e procederanno con tale ordine, che, nello spazio di un quadriennio
o quinquennio, trattino tutta la materia del Simbolo, dei Sacramenti, del
Decalogo, dell'orazione domenicale e dei Precetti della Chiesa.
XIV. Tocca ai Vescovi invigilare accuratamente l'esecuzione delle cose
prescritte.
Questo, Venerabili Fratelli, Noi
prescriviamo e comandiamo con apostolica autorità. Tocca ora a voi, ordinarne
l'esecuzione pronta ed intera nelle vostre diocesi; e colla forza della vostra
potestà vigilare ed impedire che tali Nostre prescrizioni sieno dimenticate o,
ciò che equivale, eseguite superficialmente. Il che perché si eviti, fa d'uopo
che Voi non cessiate di raccomandare e pretendere che i parrochi non facciano
senza apparecchio queste loro istruzioni, ma vi premettano diligente
preparazione; non parlino parole di umana sapienza, ma «"con semplicità di
cuore e nella sincerità di Dio"» (II, Cor. I, 12), imitando l'esempio di
Gesù Cristo il quale, benché rivelasse «"misteri nascosti fin dalla
costituzione del mondo"» (Matt. XIII, 35), parlava nondimeno «"alle
turbe sempre con parabole, né senza parabole discorreva alle medesime"»
(Ibid. 34). E lo stesso fecero altresì gli Apostoli ammaestrati dal Signore;
dei quali disse il Pontefice S. Gregorio Magno: «"Ebbero somma cura di
predicare ai popoli ignoranti cose piane ed intelligibili, non sublimi ed
ardu"e» (Moral., I. XVII, cap. 26).
E perciò che spetta alla religione, la più parte degli
uomini, ai dì nostri, sono da considerarsi ignoranti.
XV. L'insegnamento del catechismo richiede grande preparazione.
Non vorremmo però che da questo
studio di semplicità da taluno si inferisse che questo genere di predicazione
non richiede fatica e meditazione, che anzi ne esige maggiore che qualunque
altro genere. Più agevole assai è trovare un predicatore capace di tenere un
eloquente e pomposo discorso, anzi che un catechista che faccia una istruzione
lodevole sotto ogni riguardo. Qualunque pertanto sia la facilità che altri
abbia da natura di concepire e di parlare, si rammenti bene che non potrà mai
fare un fruttuoso catechismo ai fanciulli ed al popolo senza prepararvisi con
molta riflessione. S'ingannano coloro che, facendo a fidanza colla rozzezza ed
ignoranza del popolo, credono di poter procedere in questo fatto con
trascuratezza. Per contrario, quanto più l'uditorio è grossolano, cresce
l'obbligo di studio maggiore e di maggior diligenza, per mettere alla portata
di ognuno verità sublimissime e sì remote dalla intelligenza del volgo, che pur
fa d'uopo che tutti, non meno dotti che ignoranti, conoscano per conseguir
l'eterna salute.
XVI. Esortazione ai Vescovi.
Orsù pertanto, Venerabili
Fratelli, Ci sia lecito, sul termine di questa Nostra Lettera, rivolgere a Voi
le parole che disse Mosè: «"Se alcuno appartiene al Signore si unisca a
me"» (Exod. XXXII, 26). Vi preghiamo e scongiuriamo, riflettete quanta
rovina di anime si abbia per la sola ignoranza delle cose divine. Forse molte
cose utili e certamente lodevoli avete voi istituite nelle vostre diocesi a
vantaggio del gregge affidatovi: a preferenza di tutte però vogliate, con
quanto impegno, con quanto zelo, con quanta assiduità vi è possibile, procurare
ed ottenere che la scienza della cristiana dottrina penetri ed intimamente
pervada gli animi di tutti. «"Ciascuno"», sono parole dell'Apostolo
S. Pietro, «"come ha ricevuto la grazia, l'amministri a vantaggio altrui,
come buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio"» (I, Petr. IV,
10).
Ed intercedente la Vergine
beatissima Immacolata, fecondi la vostra diligenza e le vostre industrie,
l'apostolica benedizione, che, pegno del Nostro affetto ed auspice dei divini
favori, impartiamo dall' intimo del cuore a Voi ed al clero e al popolo a
ciascuno di voi affidato.
Dato a Roma, presso S. Pietro il
giorno 15 aprile 1905, nel secondo anno del Nostro Pontificato.
Pio PP. X
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