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venerdì 24 febbraio 2017

Matteo, Capitolo 5, Versetti 23-24



Se dunque offri il tuo dono sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello, e poi venendo offrirai il tuo dono.

Agostino: Se non è lecito adirarsi contro il fratello, o dirgli raca o pazzo, molto meno lo è tenere qualcosa nell’animo, in modo che l’indignazione diventi odio.

Agostino: Se nostro fratello ha qualcosa cosa di noi se noi lo abbiamo leso in qualcosa: poiché noi abbiamo qualcosa contro di lui se lui ci ha leso, e allora non è necessario giungere alla riconciliazione; infatti non chiederai perdono a chi ti ha fatto un’ingiuria, ma soltanto perdonerai, come desideri che ti sia perdonato dal Signore ciò che tu hai commesso. 

Crisostomo: Vedi poi la misericordia di Dio, come guardi più all’utilità degli uomini cha al suo onore: infatti ama la concordia dei fedeli più dei doni; finché infatti gli uomini credenti hanno qualche dissenso, il loro dono non viene accolto, e la loro preghiera non viene esaudita. Nessuno infatti fra due nemici può essere amico fidato di entrambi: quindi anche Dio non vuole essere amico dei credenti finché questi sono nemici fra loro. Anche noi dunque non manteniamo la fede in Dio se amiamo i suoi nemici e odiamo i suoi amici. Ora, quale è l’offesa che precede, tale deve seguire la riconciliazione. Se hai offeso con il pensiero, riconciliati con il pensiero; se hai offeso con le parole, riconciliati con le parole; se hai offeso con le opere, riconciliati con le opere. Infatti si fa penitenza di ogni peccato nello stesso modo in cui è stato commesso. 

mercoledì 22 febbraio 2017

Matteo, Capitolo 5, Versetti 20-22



Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non sarà più grande di quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli. Avete udito che fu detto agli antichi: <<Non uccidere>>, e chi avrà ucciso sarà colpevole in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira contro il suo fratello sarà accusato in giudizio; chi poi avrà detto al suo fratello: Raca, sarà imputato nel consesso, e chi avrà detto: Pazzo, sarà condannato al fuoco della geenna.

Crisostomo: Chiama qui giustizia la virtù generale. Intendi poi l’aggiunta della grazia: infatti vuole che i suoi discepoli ancora rudi siano migliori dei maestri che c’erano nell’Antico Testamento. Non ha però chiamato iniqui gli Scribi e i Farisei, altrimenti non avrebbe detto che avevano la giustizia. Vedi anche che qui conferma L’antico Testamento comparandolo al Nuovo: infatti il più o il meno sono nel medesimo genere. Ora, le giustizie degli Scribi e dei Farisei sono i comandamenti di Mosè, mentre l’adempimento al di là di questi comandamenti sono i comandamenti di Cristo. Questo è dunque ciò che dice: se uno oltre i comandamenti della legge non avrà adempiuto anche questi miei precetti, che presso di loro venivano ritenuti minimi, non entrerà nel regno dei cieli; poiché quelli liberano dalla pena, quella dovuta ai trasgressori della legge, ma non introducono nel regno; questi invece liberano dalla pena e introducono nel regno […].

Agostino: Questo nome regno dei cieli che tanto spesso pronuncia il Signore non so se uno può trovarlo nei libri dell’Antico Testamento; infatti appartiene propriamente alla rivelazione del Nuovo Testamento, e l’Antico Testamento lo riserva alle labbra di quel re di cui figurava l’impero dei suoi servitori. Questo fine dunque a cui vanno riferiti i precetti era nascosto nell’Antico Testamento, sebbene secondo esso già allora vivessero i santi, che vedevano la sua futura rivelazione.

Agostino: Il precetto: Non uccidere, noi non crediamo, come i Manichei, che indichi la proibizione di strappare un virgulto o di uccidere un animale irragionevole; poiché per effetto dell’ordine stabilito dal Creatore la loro vita e la loro morte sono sottomesse ai nostri bisogni. Per cui resta che noi intendiamo come riferito all’uomo il precetto: Non uccidere; né un altro, e nemmeno te: infatti chi si uccide non uccide altro che un uomo. Ma non si può concludere nulla contro questo precetto dal fatto che molti, per ordine di Dio, intrapresero delle guerre, e incaricati dal potere pubblico punirono con la morte per giusta ragione i crimini contro la società. Abramo, che offrì volontariamente suo figlio alla morte, non solamente è scusato, ma è anche lodato nella Scrittura in nome della pietà. Bisogna dunque escludere da questo precetto coloro per cui Dio fa eccezione o in nome di una data legge, o per ordine eccezionale e transitorio; infatti non bisogna ritenere omicida colui che presta il suo braccio all’ordine di un altro e dà così assistenza a colui che porta la spada; né Sansone quando seppellì se stesso e i suoi nemici sotto le rovine della casa che li copriva è scusato se non per un segreto comando dello Spirito che mediante lui faceva i miracoli.

Crisostomo: Chi si adira senza motivo sarà colpevole; chi invece per un motivo, non sarà colpevole: infatti, senza l’ira, né l’insegnamento procede, né i giudizi si traggono né i crimini sono repressi. Cosi chi per un giusto motivo non si adira pecca: infatti la pazienza irragionevole semina i vizi, nutre la negligenza e invita al male non solo i cattivi, ma anche i buoni.

Agostino: Bisogna anche considerare che cosa sia adirarsi contro il proprio fratello, poiché non si adira contro il fratello chi si adira contro il peccato del fratello. Chi dunque si adira contro il fratello e non contro il peccato, si adira senza motivo.

Crisostomo: Come poi non è vuoto chi ha lo Spirito Santo, così non è vuoto chi conosce Cristo; ora, se raca è lo stesso che vuoto, quanto al senso della parola, è la stessa cosa dire pazzo e raca, ma c’è differenza quanto al proposito di chi parla: infatti raca era una parola diffusa nel popolo giudeo, che veniva detta non per ira o per odio, ma per qualche vano motivo, più per familiarità che con collera.  Ma forse dirai: se raca non esprime l’ira, perché è un peccato? Perché è detta a modo di rivalità, non di edificazione: se infatti non dobbiamo dire nemmeno una parola buona se non per edificazione, quanto più ciò che in sé è naturalmente un male?

mercoledì 15 febbraio 2017

Matteo, Capitolo 5, Versetti 17-19



Non crediate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti: non son venuto ad abolire, ma a portarla a compimento. In verità vi dico: finché non passi il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice passerà dalla legge, finché tutto sia compiuto; chi dunque avrà trasgredito uno di questi precetti, anche minimi, e avrà insegnato agli uomini a fare altrettanto, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; chi invece avrà fatto e insegnato, sarà chiamato grande nel regno dei cieli.

Crisostomo: Non crediate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti, dice ciò per due motivi: primo, per richiamare con queste parole i suoi discepoli al suo esempio; in modo che come egli adempiva tutta la legge, così anch’essi si impegnassero ad adempierla. Poi gli sarebbe capitato di essere calunniato dai Giudei, come se annullasse la legge: per cui prima di incorrere nella calunnia soddisfa alla calunnia, affinché non si pensasse che era venuto semplicemente a predicare la legge, come avevano fatto i Profeti.

Agostino: Poiché a coloro che erano sotto la grazia in questa vita mortale era difficile compiere ciò che è scritto nella legge (Es. 20,17): <<Non desiderare>>, egli, divenuto sacerdote mediante il sacrificio della sua carne, ci impetra il perdono; e anche qui adempiamo la legge, in modo che ciò che difficilmente possiamo fare per la nostra debolezza sia curato dalla sua perfezione, essendo noi divenuti membra di lui che è il capo. E ritengo anche che così vada inteso ciò che è detto: non son venuto ad abolire, ma a portarla a compimento; ossia con quelle aggiunte, che o servono per la spiegazione delle antiche sentenze, o a renderle vive nella nostra condotta. Infatti il Signore ha spiegato che anche un moto cattivo verso un fratello va messo nel genere dell’omicidio. Inoltre il Signore ha preferito che noi, non giurando, non ci allontaniamo dalle verità piuttosto che, giurando il vero, ci avviciniamo allo spergiuro.

Crisostomo: I comandamenti di Mosè sono facili da eseguire: non uccidere, non commettere adulterio; infatti la gravità stessa del crimine respinge la volontà di commetterlo: quindi sono piccoli nella retribuzione, grandi invece nel peccato. I comandamenti di Cristo, invece: non adirarti, non desiderare, sono difficili da eseguire; quindi grandi nella retribuzione, minimi invece nel peccato. Chiama dunque minimi questi comandamenti di Cristo: non adirarti, non desiderare; quindi coloro che commettono dei lievi peccati sono minimi nel regno dei cieli; cioè chi si sarà adirato e non avrà commesso un grande peccato, è certamente sicuro dalla pena, cioè dalla dannazione eterna, ma non è nella gloria, quella che conseguono quanti compiono anche queste cose minime.

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