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venerdì 26 maggio 2017

Matteo, Capitolo 6, Versetti 28-30



E perché vi preoccupate del vestito? Considerate i gigli del campo, come crescono: non lavorano e non filano. Ora, vi dico che nemmeno Salomone in tutta la sua gloria fu vestito come uno di loro. Se dunque l'erba del campo, che oggi è e domani viene gettata nel forno, Dio la veste così, quanto più voi uomini di poca fede?

Crisostomo: I gigli al tempo stabilito emettono foglie, si rivestono di candore, si riempiono di profumo; e ciò che la terra non aveva dato alla radice, Dio lo elargisce con un’operazione invisibile. Ma in tutto è osservata la medesima pienezza affinché non si pensi che ciò avvenga per caso, ma per disposizione della divina provvidenza. 

Ilario: Per gigli bisogna intendere gli splendori degli Angeli celesti, che sono rivestiti di candore da Dio stesso. Non lavorano infatti e non filano, poiché gli Angeli, per la felicità della loro origine, ricevono incessantemente tutto ciò che concorre alla loro esistenza; e poiché ci è stato detto che alla risurrezione dei morti noi saremo simili agli Angeli, egli ha voluto, portando questo esempio degli Angeli, fissare le nostre speranze su questo rivestimento di gloria.

Crisostomo: Non parla più dei gigli, ma di erba del campo, per mostrare il suo poco valore. Ma mostra un’altra debolezza dicendo: che oggi è, e non ha detto: <<e domani non sarà>>, ma, il che è molto più grave, che sarà gettata nel forno. Ciò che poi dice: Quanto più voi, insinua velatamente l’onore del genere umano, come se dicesse: voi a cui ha dato un’anima, ha plasmato un corpo, ha mandato i profeti e ha consegnato l’unigenito Figlio.

martedì 23 maggio 2017

Matteo, Capitolo 6, Versetti 26-27



Guardate gli uccelli del cielo, che non seminano e non mietono e non raccolgono nei granai; e il Padre vostro celeste li nutre. Forse che voi non valete molto più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un solo cubito alla sua statura?

Agostino: […] Ciò che il Signore ha detto degli uccelli del cielo è per non lasciare a nessuno il pensiero che Dio possa abbandonare i suoi servitori e lasciarli senza il necessario, mostrandoci che la sua provvidenza si estende anche agli uccelli. Ma non bisogna concluderne che non è Dio che nutre coloro che lavorano con le mani; infatti non si può nemmeno dire che, date le parole (Sal 49,15): <<Invocami nel giorno della tribolazione, e ti salverò>>, l’Apostolo non dovesse fuggire ma aspettare di essere preso e di essere liberato da Dio come i tre fanciulli della fornace. Se uno avesse fatto questa obiezione ai santi nella loro fuga dalla persecuzione, essi avrebbero risposto che non dovevano tentare Dio, e che Dio, se avesse voluto, li avrebbe salvati come fece con Daniele nella fossa dei leoni e con Pietro nella prigione, qualora essi non avessero potuto aiutare se stessi: ma se, avendo reso possibile ad essi la fuga, essi fuggendo si fossero salvati, sarebbero sempre stati salvati da Dio. Così i servitori di Dio che possono nutrirsi con il lavoro delle loro mani risponderanno facilmente a quanti li turbano traendo dal Vangelo l’esempio degli uccelli che non seminano e non mietono: se noi fossimo impediti da qualche malattia o da qualche occupazione, egli ci nutrirà come gli uccelli che non lavorano. Ma potendo lavorare, non bisogna tentare Dio, poiché ciò che possiamo è dalla sua munificenza che lo abbiamo; e mentre viviamo qui, la nostra vita e il nostro potere di lavorare vengono dalla sua elargizione, ed è così che noi siamo realmente nutriti da lui come gli uccelli del cielo.

Girolamo: [..] Bisogna dunque accettare con semplicità che se gli uccelli, senza impegno e fatica, sono alimentati dalla provvidenza divina, anche se oggi esistono e domani non esistono più, tanto più lo saranno gli uomini, a cui è promessa l’eternità.

Ilario: Si può dire anche che sotto questa figura degli uccelli è portato l’esempio di quegli spiriti impuri che ricevono, per effetto dello sviluppo dei disegni di Dio, il loro nutrimento senza aver contribuito a cercarlo o raccoglierlo. Se ci si rapporta a questi spiriti impuri, c’è ragione di dire: Forse che voi non valete molto più di loro? Queste parole riguardano la differenza che c’è fra la santità e la malizia.

mercoledì 17 maggio 2017

Matteo, Capitolo 6, Versetto 25



Perciò vi dico: Non preoccupatevi della vostra anima, di che cosa mangerete, né del vostro corpo, di che cosa indosserete; l’anima non vale forse più del cibo, e il corpo più del vestito?

Agostino: Il Signore, poiché prima aveva insegnato che chiunque vuole amare Dio e teme di offenderlo non deve pensare di poter servire due padroni, ora, affinché uno non si lasci dividere interiormente non per il godimento del superfluo ma per l’uso del necessario, e affinché la sua intenzione non abbia a subire una deviazione, aggiunge: Non preoccupatevi della vostra anima, di che cosa mangerete, né del vostro corpo, di che cosa indosserete.

Crisostomo: Non dice questo perché l’anima abbia bisogno di cibo, essendo essa incorporea, ma ha parlato secondo l’uso comune: infatti essa non potrebbe dimorare nel corpo se questo non è stato nutrito.

Girolamo: In alcuni codici è stato aggiunto: né di cosa berrete. Noi non siamo dunque completamente liberati dalle necessità che riguardano ciò che la natura dona da se stessa agli animali e che ci è comune con essi, ma ci è comandato di non preoccuparci. E’ col sudore della nostra fronte che si prepara il pane; il nostro lavoro è indispensabile, ma la preoccupazione va tolta. Ciò che è qui detto dunque: Non preoccupatevi, va inteso del cibo e del vestito corporale; invece dei cibi e dei vestiti dello spirito dobbiamo preoccuparci.

Girolamo: Ci viene comandato dunque di non preoccuparci di ciò che mangiamo, poiché col sudore del volto ci prepariamo il pane: il lavoro dunque va esercitato, ma va eliminata la preoccupazione.

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