I dialoghi delle Carmelitane (Les dialogues des Carmélites) è un'opera di Francis Poulenc, su libretto proprio.
La
storia si ispira a un fatto realmente accaduto, e cioè all'esecuzione,
nel luglio 1794, durante il regime del Terrore, di sedici religiose
francesi, note come le "martiri di Compiègne", che si erano rifiutate di
rinunciare ai loro voti.
L'idea per un'opera
lirica venne per primo all'editore Ricordi che la propose a Poulenc nel
1953. La composizione richiese circa tre anni.
L'opera andò in scena per la prima volta nella versione in lingua italiana: del cast
facevano parte oltre al tenore Nicola Filacuridi, il soprano Virginia
Zeani (Blanche), Scipio Colombo (il marchese), Eugenia Ratti
(Constance), Leyla Gencer (Madame Lidoine), Gigliola Frazzoni (madre
Marie).
La prima della versione francese ebbe luogo all'Opéra di Parigi sei mesi dopo.
La Storia
Fonte: http://www.radicicristiane.it
La Storia
Durante la Rivoluzione Francese
il secco schiocco della ghigliottina risuonò migliaia di volte in centinaia di
piazze, facendo ruzzolare nel paniere le teste non solo di aristocratici, ma
anche di borghesi, di popolani, di sacerdoti e di religiosi. Forse solo in
questo la rivoluzione fu davvero “democratica”, non facendo per nulla
discriminazioni di ceto. È comunque indubitabile che il terrore giacobino
prediligeva una categoria molto invisa alle menti illuminate di allora: la
categoria del clero e dei religiosi.
Voto di Martirio
Il 15 dicembre 1789 l’Assemblea
Nazionale vietò a tutti gli ordini religiosi di pronunciare nuovi voti e molti
conventi furono fatti sfollare. Questa sorte toccò anche alle carmelitane di
Compiègne, piccolo borgo a nord est di Parigi, le quali nel 1792 furono
obbligate ad andarsene dal convento e smettere gli abiti da religiose.
Ma dato che il loro proponimento
era quello di “vivere e morire da carmelitane”, si risolsero di continuare ad
incontrarsi per pregare in comune, nonostante ciò fosse vietato. Così, divise
in tre gruppi e alloggiate in abitazioni tra loro vicine, si trovavano
quotidianamente per pregare di nascosto.
In una di queste riunioni
segrete, su proposta della Superiora, fecero voto di martirio, un «atto di
consacrazione per il quale la comunità si offre in sacrificio affinché cessino
i mali che affliggono la Chiesa e il nostro Regno infelice», come si può
leggere nei documenti di archivio.
Morire Cantando le Lodi al Redentore
Nel giugno del 1794 le
carmelitane furono scoperte e arrestate «per aver tenuto conciliaboli
antirivoluzionari, mantenuto corrispondenze fanatiche e conservato scritti
liberticidi». Dapprima furono incarcerate nel locale convento della Visitazione
e poi tradotte nella stessa prigione parigina dove fu detenuta Maria
Antonietta. In questo luogo rimasero quattro giorni, tempo sufficiente affinché
Suor Giulia componesse un inno al martirio da cantarsi sulla linea melodica
della Marsigliese. I versi iniziali della prima strofa suonano così: «Disponiamo
i nostri cuori all’allegrezza / Il giorno della gloria è arrivato / (…)
Prepariamoci alla vittoria».
Giunte davanti al tribunale
rivoluzionario, la Madre Superiora cercò di addossarsi tutte le colpe, ma il
suo tentativo fu vano. Dal tribunale furono subito fatte salire su un carro che
le avrebbe condotte al patibolo.
Durante il tragitto intonarono in
coro il Miserere, il Salve Regina ed infine il Te Deum. La folla che assisteva
al loro passaggio – di solito abituata ad inveire contro i condannati – rimase
ammutolita per il coraggio dimostrato da costoro.
Arrivate al patibolo, ai piedi di
esso, cantarono il Veni Creator. Poi furono chiamate una ad una per essere
giustiziate. Sedici volte la lama scese per compiere, su quell’altare laico, un
sacrificio di sangue così simile a quello sofferto da Cristo sul Calvario.
Dalla prima all’ultima esecuzione
le sorelle non cessarono mai un istante di cantare il salmo Laudate Dominum
omnes gentes. Il canto, man mano che l’eccidio si compiva, si affievoliva
sempre più dato che le religiose non ancora giustiziate diminuivano
progressivamente di numero.
L’ultima a trovare la morte fu la
Madre Superiora che aveva chiesto al boia di essere giustiziata per ultima,
affinché potesse sostenere le sue consorelle in quell’ora tremenda. Il canto
con essa si spense definitivamente qui sulla terra, ma continuò in cielo per
sempre.
Infatti nel 1906 la Chiesa
Cattolica beatificò le sedici martiri.
Una Conversione
La vicenda delle carmelitane di
Compiègne per più di un secolo rimase sconosciuta, dal momento che costituiva
cattiva pubblicità ai falsi ideali della Rivoluzione Francese e stonava non
poco con il famigerato motto “Liberté, Égalité, Fraternitè”. La prima ad
interessarsi di quei fatti madidi di sangue fu appunto Santa Romana Chiesa e
poi il martirio delle carmelitane attirò anche l’attenzione della scrittrice
Gertrud Von Le Fort che nel 1931 compose una novella dal titolo L’ultima al
patibolo.
Successivamente, nel 1948,
Georges Bernanos pubblicò il romanzo Dialoghi della Carmelitane, da cui prese
spunto Poulenc per il suo dramma utilizzando il testo di Bernanos come libretto
(nel ’59 e nell’83 furono girati anche due film sullo stesso canovaccio).
Il compositore fino all’età di 37
anni era rimasto abbastanza indifferente alla pratica cristiana; ma nel 1936,
in seguito alla morte in un incidente stradale di un suo caro amico, Pierre
Ferroud, volle recarsi in pellegrinaggio presso il santuario della Vergine Nera
a Rocamadour.
Lì, per sua stessa ammissione,
fece ritorno alla fede dell’infanzia, e sempre lì, ai piedi della Vergine Nera,
successivamente pose sotto la protezione di Maria diverse sue opere tra cui i
Dialoghi. La morte dell’amico non fu solo il detonatore che innescò la sua
conversione, ma costituì una sorta di presagio e fonte di ispirazione per la
realizzazione dei Dialoghi, opera che incominciò a scrivere solo 17 anni dopo.
Infatti il suo amico, nell’incidente, morì decapitato.
La Forza di Bianca
Poulenc rispettò sostanzialmente
lo svolgersi dei fatti storici avvenuti nell’ultimo decennio del 1700, ma
inserì nella trama un personaggio di fantasia, Bianca de la Force, già presente
nello scritto della Von Le Fort. Bianca, decisa ad entrare in convento perché
terrorizzata dal mondo, sperava di trovare tra quelle mura una vita protetta e
sicura. La Seconda Guerra Mondiale era terminata da pochi anni e il musicista
vedeva in Bianca la personificazione dell’uomo sopravvissuto a tale conflitto,
smarrito e desideroso di pace interiore, atterrito ed anelante ad un vivere
tranquillo e sereno. L’autore la descrive così: «l’incarnazione dell’angoscia
umana posta di fronte a un’era che stava avanzando inesorabilmente verso la sua
fine».
Quando entra nel Carmelo, quasi
presaga del suo destino futuro, sceglie di prendere come nome da religiosa Suor
Bianca dell’Agonia di Cristo. Anche lei aderirà al voto di martirio perché,
come si legge nel libretto, «la preghiera è un dovere, il martirio una ricompensa.
[…] Non si muore mai ciascuno per sé, ma gli uni per gli altri, ed anche gli
uni al posto degli altri».
Dopo che i commissari
rivoluzionari hanno evacuato il convento, Bianca si rifugia nella casa paterna,
ma apprende che il genitore è stato ghigliottinato, la casa ceduta e i nuovi
inquilini decidono di tenerla presso di loro come serva. Intanto le carmelitane
vengono arrestate e arriva il giorno dell’esecuzione della sentenza capitale.
Tutte le monache salgono al patibolo intonando il Salve Regina (e non il
Laudate Dominum come avvenne in realtà) e ricevendo dal cappellano
l’assoluzione.
Bianca però non è tra loro, si
nasconde tra la folla. È atterrita, ma ad un certo punto tutto cambia in lei e
si fa avanti continuando il canto della consorella Costanza, canto interrotto
dalla lama della ghigliottina……
Fonte: http://www.radicicristiane.it
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