A seguito della bomba mediatica ecclesiastica dell’articolo di Diane Montagna dell’1 luglio che denunciava autentiche falsità di Papa Francesco nel Motu Proprio “Traditionis Custodes” che, contrariamente a quanto detto dai vescovi di tutto il mondo che si dichiaravano soddisfatti della liberalizzazione della Messa Tradizionale, affermava la contrarietà dei Vescovi al Motu Proprio Summorum Pontificum e la divisività della Messa di san Pio V e ne limitava draconianamente la celebrazione, è uscito a tempo di record il testo completo a firma Mons. Nicola Bux e Saverio Gaeta che riporta i documenti, gli antefatti, il contesto e i fatti che hanno condotto allo svelamento dell’autentico imbroglio di Papa Bergoglio. Abbiamo deciso di chiedere a Mons. Nicola Bux come si è giunti a questo e cosa contiene l’Appello finale a Papa Leone XIV. (Luigi Casalini)
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Monsignore, lei descrive la riforma liturgica postconciliare come un chiaro allontanamento dalle intenzioni autentiche del Concilio Vaticano II e della Sacrosanctum Concilium. Secondo lei, quale fu l’errore più grave nell’attuazione concreta della riforma liturgica?
Mettere al primo posto la partecipazione dei fedeli – diventata un ‘diritto’ – invece che i diritti di Dio, che con la sua Presenza rende possibile a noi di entrare in rapporto con Lui: questo è il culto divino: coltivare la relazione con il Signore. La liturgia è ‘sacra’ per questo, altrimenti è solo liturgia, ossia atto pubblico, incline all’esibizione, allo spettacolo, all’intrattenimento: come si dice in America: litur-teinement.
Lei afferma che “la liturgia è divenuta un campo di battaglia”. Ritiene che questo conflitto sia destinato a durare oppure vede segnali di un possibile ritorno alla pace liturgica della Chiesa?
L’art.22c della Costituzione Liturgica del Vaticano II, ammonisce: nessuno assolutamente, anche se sacerdote, osi aggiungere, togliere o mutare alcunché. Ecco dobbiamo abbandonare l’idea che la sacra liturgia sia a nostra disposizione: no, essa viene dall’alto e va semplicemente servita; non “animata”, perché è lo Spirito Santo che l’anima, non noi. Si deve approntare un “codice liturgico”, previsto già nei lavori della riforma pre-conciliare, con precise sanzioni per chiunque lo trasgredisca. Ne ha scritto lo studioso Daniele Nigro, in I diritti di Dio, Sugarco 2012, con prefazione del card.Burke. Non sono senza peccato i fautori delle deformazioni nel Novus Ordo, ma anche quelli del Vetus che non si attengono all’ultima edizione del Messale Romano del 1962, come prescritto dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Solo osservando l’ordine viene la pace, anche liturgica.
Nel testo si parla della presenza reale di Cristo in termini dogmatici tradizionali: “vera, reale, sostanziale”. Qual è oggi, a suo avviso, il pericolo più grave per la fede dei fedeli nei confronti di questo mistero centrale dell’Eucaristia?
Non è solo un pericolo ma una realtà diffusa, la riduzione del Sacramento – Santissimo – ad un simbolo conviviale, ad un cibo comune; esso, anzi Egli, il Signore, è il “farmaco dell’immortalità”, e va adorato prima di essere manducato. I farmaci più delicati non si prendono, ma si ricevono con ogni precauzione: questa modalità è essenziale per la fede nell’Eucaristia, è più importante di una catechesi sulla Comunione.
Lei cita le parole di Benedetto XVI: “ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande”. Come risponde a chi sostiene che la liturgia tradizionale è diventata ormai un simbolo di opposizione ideologica al Papa e al Concilio?
La strumentalizzazione di singoli e gruppi c’è, ma non è prevalente. Invece è in atto la rinascita del Sacro – che è la Presenza del Signore – nei cuori (adorazione, Comunione in bocca, silenzio, vocazioni…).Basta visitare i tanti paesi del mondo dove è stato attuato con prudenza dai vescovi il Motu Proprio di Benedetto XVI. La pazienza della carità nell’obbedienza alla Chiesa hanno prevalso.
Nel libro si legge della “Messa spezzatino”, frutto della frammentazione linguistica e simbolica della liturgia attuale. Quali misure pratiche suggerirebbe per restituire alla Messa la sua coerenza interna e il senso del sacro?
Soprattutto lo sguardo a Gesù Cristo, che nelle Liturgie orientali è dato dal volgersi a Oriente, donde Egli è venuto, viene e verrà. E’ la dimensione cosmica ed escatologica o definitiva del culto divino. L’orientamento del sacerdote ad Deum, alla Croce, specialmente dall’Offertorio alla Comunione è decisivo per restituire alla liturgia la dimensione verticale perduta. L’orientamento è più importante della lingua latina, ma questa, è importante per la percezione del ‘sacro’ nel culto, specialmente nella Preghiera Eucaristica e nelle altre preghiere sacerdotali.
Quale è stata, secondo lei, la mens di Francesco in Traditionis Custodes?
Una contraddizione in se stessa: aveva lodato il mistero nelle liturgie orientali e poi non ha voluto accorgersi che il rito romano antico, il più grande dei riti latini nella Chiesa, parallelo a quello bizantino in Oriente, risponde alla crisi della fede in Occidente: con l’impulso all’evangelizzazione – ferma le sette in America Latina – la conversione dei giovani, i battesimi degli adulti, la rinascita della famiglia aperta alla vita, della vita religiosa e delle vocazioni. Papa Francesco è stato vittima del suo “anticlericalismo”.
Perché, secondo lei, Francesco ha messo delle motivazioni false per far uscire Traditionis Custodes?
Un pregiudizio ideologico, un problema psichiatrico? A Buenos Aires sanno. La sua volontà era legge e i cortigiani si trovano sempre, non così i collaboratori.
3 domande sull’Appello finale:
Nel suo Appello chiede che si torni a celebrare la Messa Tradizionale senza restrizioni, come sostanzialmente previsto dal Motu ProprioSummorum Pontificum.Cosa risponde a chi teme che questo possa minare l’autorità del Papa o creare divisioni nella Chiesa?
La Chiesa è circumdata varietate: grazie allo Spirito Santo esistono tanti riti, quindi di cosa avere paura. Mi pare che papa Leone abbia questa visione. L’autorità del Papa e del Vescovo sta proprio nel favorire i carismi e nel farne sintesi per l’unica missione della Chiesa, o no?
Nel testo si dice che “la Chiesa cattolica non è una monarchia assoluta”. In che modo la sua proposta si armonizza con il principio di obbedienza gerarchica che caratterizza la Chiesa?
Sono sessant’anni che il rito romano antico sopravvive a tutti i tentativi di sopprimerlo: applichiamo il principio di Gamaliele: se fosse opera umana non sarebbe già scomparso? E se il Signore ne stesse facendo lo strumento per la riforma della Sua Chiesa?
Lei fa riferimento alla sinodalità come principio invocato ma non rispettato. In che senso ritiene che la trasparenza e la collegialità siano state tradite nella gestione liturgica e dottrinale attuale?”
La sinodalità è lo stile della collegialità, è la mise en route delle quattro note della Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica: quindi è a queste sottomessa; è un modo di esercitare l’autorità, non l’unico, perché, attenzione: l’ultima parola c’è l’ha il sacerdote nella comunità, il vescovo nella diocesi, il papa nella Chiesa universale, altrimenti questa diventa un’assemblea parlamentare. Chi ha concepito Traditionis Custodes e annessi, non ha attuato la sinodalità, non solo, ha falsificato quella manifestata dai Vescovi nelle risposte al Questionario. A proposito di “peccati contro la sinodalità”: si faccia mea culpa e si ritorni pian piano allo status quo ante. La Chiesa intera ne trarrà giovamento.
Fantastico intelligente ispirato
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