Testimonianza - Monsignor Jacques Masson: Come sono diventato un sacerdote… nonostante la talare
Monsignor Jacques Masson è stato redattore di lingua francese dell’Agenzia stampa vaticana Fides dal 1978 al 2007, ma è stato, dal 1970 al 1974, anche il primo direttore del seminario di Econe, prima di entrare a far parte della diocesi di Roma. Nel 2009 ha pubblicato le sue memorie sul sito web Hermas, raccontando aneddoti sull’inizio della Fraternità San Pio X e sulla sua esperienza personale durante i cambiamenti all’interno della Chiesa di Francia negli anni ’60. Pubblichiamo qui la traduzione di un articolo scritto il 15 luglio 2009 sul sito web Hermas. La sua testimonianza mostra bene il detestabile clima che ha avvelenato la formazione e la vita dei sacerdoti durante e dopo il Concilio Vaticano II. Sono entrato in contatto con Monsignor Masson nell'occasione della pubblicazione delle sue memorie ed era molto contento di poter confidarsi a un sacerdote della Fraternità. Non condividiamo tutte le sue scelte, ma oggi, un anno dopo la sua morte, siamo molto felici di poter rendere un omaggio a questo sacerdote che aveva un grande amore per la Chiesa presentandovi un brano delle sue memorie. Don Fabrizio Loschi.
A San Sulpizio
Sono
entrato nel seminario di San Sulpizio (famoso seminario dell’Oratorio
di Francia a Parigi, ndr), alla fine del mese di settembre del 1963, al
termine del mio servizio militare. Nel gennaio 1963 – novità nella
Chiesa e in particolare in Francia – fu permesso ai sacerdoti di portare
il «clergyman». Miracolo! Come se l’ordine fosse stato dato da lungo
tempo, il giorno dopo la pubblicazione del permesso a determinate
condizioni – vestito nero o grigio scuro e colletto bianco – la maggior
parte dei sacerdoti e dei seminaristi erano vestiti con il clergyman.
All’epoca,
stavo finendo il servizio militare presso lo Stato Maggiore Ferroviario
a Metz, dopo essere stato in servizio, fino al momento
dell’Indipendenza, in Algeria. Arrivai in caserma con la talare, nel
novembre 1962, e uscii sempre con talare, alla fine di maggio del 1963,
con i complimenti del tenente colonnello che era molto contento della
mia fedeltà all’«abito» che per lui «era come una bandiera».
Il mio
arrivo a San Sulpizio con la talare fece impressione. Ho saputo più
tardi che alcuni seminaristi andarono immediatamente a parlare con il
Superiore per informarlo che in seminario era arrivato un
“fondamentalista”. Passo oltre sul crollo del seminario, del
regolamento, della vita liturgica, dei corsi di studio… È stata una
rivoluzione fatta in un mese, il mese d’ottobre, mese del Rosario, da un
gruppo di seminaristi già vestiti con la polo, non avendo i professori
il coraggio di reagire.
Il Suddiaconato
Il 1964 fu di capitale importanza per me, perché ero al 2° anno di teologia che a giugno si concludeva con l’ordinazione suddiaconale (se era gradita dal consiglio dei docenti). Facevamo il «passo», come era allora chiamato, impegnandoci al servizio del Signore e consacrando a Lui l’anima e il corpo nel voto di castità. Era questo chiamato «fare il passo», perché il vescovo, durante la cerimonia, chiedeva ai candidati al suddiaconato se volevano prendere liberamente l’impegno del celibato e della castità e quindi di fare un passo in avanti, «Huc accedite».
Il problema della talare
Nel
mese di ottobre del 1964, Padre Longère, superiore del corso di
teologia, mi chiamò nel suo ufficio e mi disse queste parole: «Jacques,
lo sai, ti voglio bene...». Attenzione, perché quando un discorso inizia
cosi, c’è un PERÒ!
E il però non mancò: «…però devo dirti
sinceramente che se non metti il clergyman, il consiglio dei docenti non
ti chiamerà al suddiaconato. Con il tuo rifiuto sarai considerato un
orgoglioso che va contro il Concilio (Il Concilio Vaticano II non ha mai
forzato i sacerdoti a portare il clergyman ndr).
Feci allora notare al Padre Longère che gli statuti sinodali avevano dichiarato che la talare era il vestito normale e abituale del chierico e che l’uso del clergyman era solo consentito. Egli mi rispose: «È vero, ma dal momento che tutti i tuoi colleghi e i padri stessi hanno adottato il clergyman, il tuo atteggiamento sarà considerato, ti ho detto, come ostinazione, come orgoglio».
Ho detto allora al Padre Longère che ero di una famiglia di umili origini (mio padre era un imbianchino nella fabbrica di Birra di Champigneulles) a differenza di molti altri seminaristi, i cui genitori erano ricchi. Nel mio villaggio, essere vestito in borghese con un abito nero o grigio voleva dire portare «l’abito di un ricco». Era l’abito degli abitanti per le grandi cerimonie, le occasioni speciali. Con la talare, pero, il sacerdote poteva andare dappertutto, dai ricchi e dai poveri, senza offendere nessuno.
Ricatto
«Jacques, se tu non metti il clergyman, non sarai ordinato suddiacono e non diventerai mai sacerdote», mi rispose Padre Longère.
«Signor Superiore, si tratta di un desiderio o di un ordine?».
«Non
posso darti un ordine, perché come hai detto, gli statuti sinodali
specificano che la talare è l’abbigliamento normale per il chierico e il
sacerdote».
«Lei è il Superiore! È un desiderio o un ordine? Se lei mi dà l’ordine, obbedirò».
«Non
posso dare l’ordine. Ma, ripeto, perché ti voglio bene, se non metti il
clergyman, non sarai ordinato suddiacono. Credimi!».
Dopo un momento di riflessione, o piuttosto di preghiera, dissi a Padre Longère:
«Signor
Superiore, come lei non può darmi l’ordine di mettere il clergyman,
allo stesso tempo, sarebbe imprudente da parte mia non ascoltarla e
rifiutare di mettere il clergyman. Siccome il mio sacerdozio dipende da
questo, suggerisco un compromesso. Lei è d’accordo con il principio?».
«Sono d’accordo!».
«Quindi,
sono d’accordo di portare il clergyman come segno di obbedienza al
desiderio del mio superiore, anche se non può ordinarmelo. Pero, lo
porterò solo una volta al mese, l’ultima domenica del mese! Lei è
d'accordo?».
«Assolutamente, e ti garantisco che sarai chiamato al suddiaconato».
«Un’altra
cosa, Signor Superiore: i miei genitori sono persone di umili origini e
non posso chieder loro di pagarmi un clergyman!».
«Nessun problema, lo pagherà il seminario», rispose Padre Longère.
Con
alcuni amici, nei quali trovavo «rifugio» durante le uscite, in
particolare il giovedì e la domenica, andai a comprare il«mio»
clergyman. Andammo al «Bon Marche» e comprai il vestito più costoso,
grigio molto scuro.
Il Clergyman e l’Ordinazione
Ogni
ultima domenica del mese, alle ore 12.10, mettevo il clergyman e andavo
in refettorio, sotto i fischi dei miei «colleghi». Alla fine del pasto,
i docenti ci precedevano e salutavano i seminaristi che volevano
parlare con loro. Li salutavo uno dopo l’altro, poi andavo in camera
mia, toglievo il clergyman, mettevo la talare, e uscivo a Parigi con i
miei amici.
Ho indossato il clergyman dalla fine di ottobre del 1964
alla fine di giugno del 1965 (poi sono andato in vacanza in Lorena), e
una volta nel mese di ottobre, per prudenza, in quanto c’era la chiamata
al diaconato, il primo grado del sacerdozio. Sono stato chiamato al
diaconato e l’ho ricevuto il 30 ottobre 1965. E così sono stato ordinato
sacerdote il 25 giugno 1966!
La talare: un segno di contraddizione
Dopo,
ho smesso del tutto di portare il clergyman, però l’ho conservato ed è
ancora, dopo 44 anni, come nuovo, sempre elegante, come un ricordo della
«Grande persecuzione», come scrivevano i preti refrattari alla
Rivoluzione sui registri dei battesimi e dei matrimoni, amministrati in
segreto a rischio della loro vita e di quella dei fedeli.
Permettetemi
ancora un aneddoto sullo stesso tema, per illustrare il furore vissuto
in quegli anni contro la talare. Durante l’anno di diaconato mi fu
assegnato il ministero di diacono nella parrocchia di Sant’Ambrogio a
Parigi, una grande parrocchia. Amministravo i battesimi e predicavo ogni
domenica. Naturalmente, tutto il clero era in clergyman, tranne, se non
di tanto in tanto, il parroco. Era vecchio, poverino!
Sdegno episcopale
Una
domenica, Monsignor Veuillot, arcivescovo di Parigi, venne a
Sant’Ambrogio per amministrare il sacramento della Cresima. Mi ricordo
che dopo aver amministrato parecchi battesimi, una decina, entrai, con
il parroco, nella sala da pranzo. Eravamo tutti e due con la talare.
Monsignor Veuillot era lì ad aspettarci, vestito con il clergyman.
Il
povero parroco, molto imbarazzato, chiese scusa a Monsignor Veuillot
per essere con la talare, dicendo: «Mi scusi, vado a cambiarmi».
L’arcivescovo
di Parigi gli diede una risposta che esprime il clima del tempo e della
carità riservata a coloro che non erano dentro il senso della storia:
«Hai ragione, vai a vestirti come un uomo!» (Sic). A tavola ero seduto
davanti a lui, ed ero il solo a essere vestito con la talare. Monsignor
Veuillot non mi disse niente durante tutto il pranzo, neanche una
parola, e non mi salutò neanche quando se n’è andò.
Fonte: sanpiox.it
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