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mercoledì 8 luglio 2020

Corpus Domini e Arte Cristiana

Il pellicano come simbolo cristologico. Lorenzo e Jacopo Salimbeni, 1416. Urbino, oratorio di San Giovanni Battista.

Le prime comunità cristiane, costrette nella segretezza delle catacombe, si rivolsero all'arte per testimoniare il proprio credo. Per rappresentare la verità di fede dell'Eucaristia, scelsero il simbolismo animale.

«Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me» (Conf. VII, 10, 18). In queste parole di Agostino troviamo espressa la dinamica della comunione eucaristica. L’Eucaristia è cibo di vita Eterna, il Pane della vita: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui. La festa del Corpus domini è inseparabile dal Giovedì Santo, dalla Messa in Cæna Domini, nella quale si celebra l’istituzione dell’Eucaristia. Mentre nella sera del Giovedì Santo si rivive il mistero di Cristo che si offre a noi nel pane spezzato e nel vino versato, nella ricorrenza del Corpus Domini questo mistero è proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio, e il Santissimo Sacramento è portato in processione per le vie delle città, manifestando che Cristo risorto cammina in mezzo a noi. Se durante la liturgia il cristiano “rende grazie” (eucharisto), nella processione del Corpus Domini è mostrato apertamente il dono di Cristo, perché il suo l’amore non è riservato ad alcuni ma a tutti.
 
Mosaico Agnello, meta del IV secolo. Basilica di San Vitale, Ravenna.
Forse apprezzeremmo maggiormente la grazia di portare il Santissimo Sacramento in processione, partecipando con entusiasmo, se ricordassimo le difficoltà affrontate dalle prime comunità cristiane per testimoniare la fede in Gesù Eucaristia. Perseguitati, costretti nella segretezza e nel silenzio delle catacombe, i cristiani non si arresero e ricorsero da subito all’arte per testimoniare il proprio credo, donandoci così frutti imperituri di bellezza. Per evitare che i persecutori potessero risalire ai cristiani, gli artisti escogitarono di mutuare immagini pagane attribuendo loro un significato diverso: di fronte ad uno stesso oggetto dipinto i cristiani vi riconoscevano un simbolo del loro credo, i non cristiani semplicemente un motivo decorativo. Per rappresentare la verità di fede dell’Eucaristia, gli artisti cristiani ricorsero al simbolismo teriomorfo, ossia ad immagini di animali: dal pesce al delfino, dall’agnello al pellicano, dal corvo all’unicorno.

Pesce e croce, IV-V secolo. Bassorilievo di Ermant, Egitto.
Parigi, Louvre
Un esempio di come le prime comunità cristiane fossero abituate a dissimulare i propri simboli, per sfuggire alle persecuzioni, si trova nell’uso di rappresentare i delfini legati ai tridenti, come testimoniano le epigrafi funerarie tardo antiche o l’affresco delle catacombe di San Callisto. Se nel mondo pagano il delfino era associato al tridente perché legato ai miti di Nettuno, dio del mare, per le prime comunità cristiane il tridente assume il valore della croce di Cristo e del suo sacrificio per noi. È Tertulliano per primo a definire «pesciolini» (pisciculi) i cristiani raccolti intorno al «pesce più grande», ovvero il delfino. Il “pesce”, già legato a molte culture e religioni precristiane, intorno al II secolo diviene un simbolo cristologico: ichthus (“pesce” in greco) è un acrostico per indicare Iesous CHristos THeos Uios Soter, “Gesù Cristo figlio del Dio Salvatore”. Oltre ad essere simbolo cristologico, il “pesce” è fin dal II secolo anche emblema del sacramento dell’eucaristia, come nelle catacombe di San Callisto del III secolo, precisamente nella cripta di Lucina, in cui è affrescato un pesce sormontato da una cesta di pani, simbolo eucaristico per eccellenza.

Sull’accostamento di Cristo al pellicano, influirono le numerose leggende sull’animale riportate nel Physiologus (tra II e IV secolo d. C.), una sorta di trattatello naturalistico in lingua greca, in cui la descrizione degli animali è interpretata in chiave moralizzante. Tra gli antichi si era diffusa la falsa leggenda che il pellicano, per sfamare i piccoli, in mancanza di cibo, si strappasse di brandelli di carne dal petto in un gesto di stremo sacrificio. In realtà il pellicano trasporta le prede nel becco, così, quando estrae i pesci da distribuire ai piccoli, spesso macchia il proprio piumaggio bianco con il sangue delle prede. In ogni caso, l’immagine del pellicano che si macchia di sangue per nutrire i propri piccoli, è evidente, ben si presta a simboleggiare il Figlio di Dio che dona il proprio corpo come cibo e il proprio sangue come bevanda durante l’ultima cena. Questo parallelismo si rafforza ulteriormente nel 1264, quando, per volere del papa Urbano IV, è istituita la festa del Corpus Domini e vengono composti cinque inni solenni dedicati all’Eucaristia, attribuiti a san Tommaso d’Aquino. Uno di questi si intitola Adoro Te devote e l’autore scrive: «Pie pellicane, Iesu Domine, me immundum munda tuo sangue» [Pio Pellicano, Signore Gesù, purifica me immondo con il tuo sangue]. Pochi anni più tardi troviamo la stessa allegoria nella Divina Commedia, nel Paradiso, quando, riferendosi all’ultima cena in cui Giovanni reclina la testa sul petto di Gesù, Dante scrive (XXV, 112-114): «Questi è colui che giacque sopra/’l petto del nostro pellicano,/ e questi fue di su la croce/ al grande officio eletto».

Vergine e unicorno, Domenichino (1581-1641). Palazzo Farnese, Roma.
Nelle catacombe romane, come quelle di San Callisto, di Pietro e Marcellino o Domitilla, troviamo molti affreschi, databili tra il II e il IV secolo, dove l’agnello – già animale sacrificale in molte religioni e tradizioni – diviene per l’iconografia cristiana simbolo di Cristo e del suo sacrificio per la salvezza degli uomini. Più curiosa è la vicenda che portò l’unicorno a divenire una figura simbolica di primaria importanza nell’iconografia cristiana, grazie ad un errore di traduzione. Nella Bibbia si parla spesso del re’em, un animale non ben definito, che la traduzione greca dei “Settanta” identifica con il monòkeros, l’animale da un solo corno. Nel Physiologus l’unicorno è descritto come un animale così astuto che i cacciatori sono in grado di catturarlo solo se si adagia sulle gambe di una vergine, da cui è attratto, e si addormenta. La lettura allegorica dell’unicorno legò subito l’animale alla Verginità di Maria, e l’addormentarsi dell’animale sulle gambe della vergine, cadendo vittima del tranello dei cacciatori, portò a stabilire un parallelismo con Cristo che, tradito da Giuda, si avvia verso il proprio supplizio e sacrificio.

Gli artisti ricorsero al simbolismo animale, per rappresentare Cristo e l’istituzione dell’Eucaristia, fino al periodo del Rinascimento; tuttavia, sono proprio le manifestazioni artistiche delle prime comunità cristiane, concentrate quasi esclusivamente nella segretezza delle catacombe, unico luogo in cui potevano testimoniare attraverso l’arte il proprio credo, ad essere prova dell’importanza che i primi cristiani riconoscevano all’Eucaristia, presenza reale di Gesù nella vita dei fedeli. Per i cristiani di oggi, in un mondo a volte ostile al cristianesimo, la necessità di testimoniare è vitale. Portare allora l’Eucaristia nelle piazze e nelle strade significa uscire dalle “catacombe” di un cristianesimo per pochi, chiuso nell’autoreferenzialità, per immergere il Pane disceso dal cielo nella quotidianità di tutti. La processione del Corpus Domini è testimoniare che Gesù cammina dove camminiamo noi, vive dove viviamo noi – tutti.

 
 

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