Lettera di San Paolo ai Filippesi 2,5: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.”
Queste parole dell’Apostolo sono dirette solamente ai Filippesi? Con che ragione il resto dei cristiani si considera esente da questa salutare lezione? Siamo forse meno discepoli del Salvatore rispetto ai destinatari di questa lettera? Se vogliamo veramente salvarci, se vogliamo essere veramente cristiani, possiamo pensare in una maniera differente rispetto a quello che Cristo pensò? Possiamo ammettere altre massime o altri principi? Su due soli principi gira tutta la nostra religione, la morale e i dogmi, cioè, su quello che dobbiamo credere e su come dobbiamo lavorare. È importante credere in tutte le verità della fede; però è indispensabile vivere costantemente secondo le regole della morale cristiana. Seguire la morale senza aver fede è una chimera. Credere tutto quello che la fede ci insegna, e non vivere secondo le massime del Vangelo, è un’insigne pazzia, accompagnata da un’irreligiosità impietosa.
Se crediamo a tutto quello che c’insegna la religione, crediamo all’amore di un Dio infinito, che infinitamente ci ama, che ci previene con un amore infinitamente tenero, benefico, incomprensibile; nell’Incarnazione del Verbo, mistero nel quale si confonde e si perde l’intendimento allevato; nella vita di un Uomo Dio, povero, sconosciuto; nei lavori estremi, morte dolorosa e atroce di Gesù Cristo; nella redenzione super abbondante di tutti gli uomini, senza che nessuno fosse escluso da questa felice e beata eternità, patria celestiale, centro di tutti i beni, nostro unico patrimonio: nei miracoli continui dell’estremo amore di Gesù Cristo e della sua presenza reale nell’eucaristia, nostra dolce consolazione e fonte inesauribile di confidenza; nel giudizio terribile sulla conformità della nostra vita con la regola suprema dei costumi e con l’inalterabilità del vangelo; nelle difficoltà moltiplicate nell’unico negozio che abbiamo, cioè, la nostra salvezza; nelle massime del mondo specialmente opposte all’unica regola dei costumi; nello spirito del mondo estremamente contrario allo spirito di Gesù Cristo; vita mortificata, vita penosa, vita pura, vita penitente affinché possa essere e si possa chiamare vita cristiana; questo è il riassunto della nostra fede. Mettere in dubbio un solo articolo di questa materia vuol dire essere infedeli.
Massime del Vangelo, morale inalterabile di Gesù Cristo; avere un’altra regola di vita, vuol dire condannarsi, essere riprovevole, miserevole e perdersi interamente.
Queste sono le massime di Gesù Cristo, però sono anche le nostre? I grandi del mondo, gli uomini di negozio, queste anime interamente carnali, queste donne testarde e ostinatamente mondane, entrano in queste massime? Studiano questa sovrana e unica regola di costumi? Sono veramente fedeli tutti quelli che, oggi come oggi, si definiscono cristiani? Queste persone schiave delle passioni, tristi vittime del mondo; questi idolatri di piacere, che passano tutta la vita nemici di Dio e nelle loro disgrazie; questi cristiani di nome, vergogna del cristianesimo; perché molti, come diceva San Paolo ai Filippesi (3,18-19), e con più ragione lo possiamo dire oggi: “Perché molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra”. Tutte le persone coinvolte in questo ritratto (e solo Dio sa quante sono!) si governano per le massime del Vangelo? Avranno buone fondamenta per sperare in una beata fine?
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